The Black Sorrows Citizen John
2018 - Blue Rose / IRD
Dalle terre dell’isola più grande del mondo, abituati come siamo a pensarla per i suoi spazi aperti, la natura selvaggia e le metropoli moderne affacciate sull’oceano, non arrivano solo le band del mainstream, come Inxs e Savage Garden, o ancora i figli del pub/rock anni 70 e 80 come i Cold Chisel, ma anche le brucianti ventate hard rock di una Sidney che ha dato i natali agli AC/DC e piacevoli esplosioni di “alternative rock”, come i Died Pretty, che, con le loro robuste venature folk, tra un misto di influenze Velvet e Stooges, hanno costituito una parentesi più che interessante negli anni 80/90.
I Black Sorrows, di base a Melbourne, nascono nel 1984 e, in un alternarsi di innumerevoli formazioni, hanno sfoderato una ventina di album sotto la guida salda e costante del loro leader Joe Camilleri, anima della band in ogni sua espressione (cantante, compositore, sassofonista e produttore).
Il loro ultimo lavoro è un disco che si muove passando da un genere all’altro con la massima disinvoltura, cambiando continuamente costume di scena senza mai peccare di vanità. Ed è nello stile dei Black Sorrows offrire menù stuzzicanti: chi ricorda solo il recente Faithfull Satellite, del 2016, può ancora assaporare quegli aromi bluegrass, rockabilly e soul, speziati di zydeco e blues. Per entrambi i dischi, la stessa line-up, con Claude Carranza alle chitarre, John McAll alle tastiere, Angus Burchall alle percussioni e Mark Gray, favoloso, al basso.
Così, in Citizen John, è di nuovo la varietà di stili a governare: si passa dal calpestio delle orme di un Mark Knofler streitsiano, a romantiche ballate alla Eddie Hinton, dalle graffinati chitarre country blues (per alcuni passaggi in leggero overdrive) di Wednesday’s child, ornata dagli accordi del mandolino di Sandii Keenal, e Worlds Away, in cui compare l’ammaliante lap steel di Keeryn Tolhurst, agli umori di I Love Surrender che, con quel tappeto hammond, il groove del basso e la voce focosa e ruvida, ci conduce verso le strade di un appassionato blue eyed soul anni 70. E ancora si viaggia da un’intrigante e seducente versione slow in stile Chicago blues di Do I move You (Nina Simone), firmata da un delizioso assolo di McAll al piano, a un’enigmatica Messiah, il cui canto corale, gli archi evocati dalle tastiere e le chitarre taglienti ci rapiscono in atmosfere estatiche di cui Camilleri si fa predicatore, andando a risvegliare lo spirito di Bobby Womack. Non manca l'omaggio a un mostro sacro come Dylan: i Neri Dispiaceri ci regalano una versione di Silvio piuttosto fedele all’originale, ma ricaricata a molla e sospinta dall'energica chitarra elettrica di Carranza e dal ritmato accompagnamento dell’organo.
Tuttavia Citizen John è anche Storm the Bastille, il pezzo più anomalo e vario del disco, che dondola inizialmente tra atmosfere folk, ricamate dal violino di Xani Kolac, ma allo stesso tempo possiede un canto e una struttura dark per diventare elettronica sul finale, fra tastiere e cori prog sorretti da lap steel e congas… una mistura alquanto insolita ma non per questo meno affascinante. Breve divagazione per tornare poi in modalità soul, muovendo il corpo sulle note caldissime di Citizen John, tra l'eccitazione dei fiati, i cori R&B e una voce tremendamente sensuale (Camilleri sembra aver trapiantato le corde di Southside Johnny), e raggiungere poi le bande di strada del Mardi Gras con Brother Moses and Sister Mae, su un ragtime pigro alla maniera del Dr. John drogato dalla strepitosa sezione fiati di Le Horns Of Leroy. I raffinati accordi jazz di Nothin’ but the blues, infine, diventano occasione per ricordarci di che pasta sono fatti questi musicisti: dalla chitarra twang e bluesy di Sam Lemann che gioca con gli armonici, alla sezione ritmica condotta da un morbido basso e dalle delicate spazzole sui tamburi, per finire con quelle incantevoli dita sui tasti che dipingono atmosfere rilassate da night club.
L'album, registrato e mixato ai Woodstock Studios di Melbourne, riporta Camilleri ad autoprodursi, insieme al socio McAll: "Non sono in perfetta sintonia con l'industria musicale. Io la chiamo arte, loro la chiamano prodotto".
Joe Camilleri è un artista eclettico, poliedrico, un ottimo musicista e un cantante portentoso, che possiede tra le sue corde i diversi stati d’animo del blues, del soul, del folk e del R&B e che conosce profondamente la musica delle radici. A 70 anni suonati sembra avere ancora tanta benzina in corpo e ci ha dimostrato di saper far girare i motori dei suoi Black Sorrows, ancora ad alti giri.