Shemekia Copeland Uncivil War
2020 - Alligator / IRD
#Shemekia Copeland#Jazz Blues Black#Blues #John Hahn #Jason Isbel #Christone Kingfish Ingram #Duane Eddy #Pete Abbott #Johny Copeland
Figlia di cotanto padre, esordiente a soli diciott'anni e con una discografia già corposa alle spalle, Copeland ha il physique du role della grandi del blues e del rhythm and blues, con cui condivide anche una voce potente e trascinante, anche se forse non così ricca di sfumature. La sua frequentazione promiscua dei diversi generi della musica nera (blues, soul, rhythm and blues, gospel) si è di recente arricchita con il tentativo di aprirsi ad altri stili (folk, country, Americana), di cui è un'ottima testimonianza il suo ultimo lavoro, America's Child (2018), dove a diverso titolo compaiono nomi del calibro di Mary Gauthier, John Prine e Rhiannon Giddens. In Uncivil War torniamo invece a un'impostazione più tradizionale, e ci muoviamo nei dintorni di Outskirts Of Love (2015), a un livello forse un po' più basso. Copeland conferma l'accoppiata dei suoi autori e produttori (Will Kimbrough e John Hahn) e la buona abitudine di circondarsi di una piccola corte di chitarristi coi fiocchi, di età e provenienze diverse, partendo dallo stesso Kimbrough e proseguendo con Jason Isbell, Jerry Douglas, Christone “Kingfish” Ingram, Steve Cropper e niente meno che l'ottantaduenne Duane Eddy.
La cantante di Harlem prosegue così il suo lavoro di sintesi tra le diverse anime della black music, in un contesto in parte condizionato dalla scelta programmatica di cui si parlava all'inizio. Se l'afflato gospel di alcuni pezzi (Walk Until I Ride, la title track) suona un po' scontato e di maniera, le tematiche politico-sociali di Uncil War sembrano servite al meglio dai pezzi più rock-blues come Money Makes You Ugly, impreziosita da un ricamo alla sei corde di “Kingfish” Ingram, e soprattutto Apple Pie And A .45, confezionata dal quartetto-base del disco, che si completa con Kimbrough, Lex Price (basso) e Pete Abbott (batteria). In queste due tracce la rabbia di Shemekia contro l'arricchimento immorale e l'omertà che circonda i bravi ragazzi cresciuti a torta di mele e calibro 45 si combina perfettamente con la potenza trascinante dei suoi mezzi vocali. C'è poi l'altra faccia dell'artista - quella preferita da chi scrive - fatta di racconti intimi, episodi di vita vissuta e piccole ribellioni quotidiane, che spesso indugiano sui controversi rapporti con l'altro sesso, innaffiati da un'abbondante dose di humour. She Don't Wear Pink narra, a ritmo di rock'n'roll d'antan, di una mogliettina diciottenne che all'improvviso scopre il motivo per cui, quando era bambina, non amava le Barbie e tanto meno vestirsi come sua madre: decide così di mollare la pila di piatti sporchi in cucina e cominciare una nuova vita. No Heart At All, tra swamp e talking, lamenta invece la freddezza glaciale di un cuore maschile, impossibile da riscaldare. Un altro interessante capitolo riguarda quelli che potremmo definire i percorsi a tema libero, con gli omaggi agli ispiratori e ai veterani della musica del diavolo. L'affettuoso ritratto di Dr. John in Dirty Saint scivola su un ritmo funky e rotolante alla batteria che più New Orleans di così non si può. Under My Thumb allarga le maglie del classico degli Stones, mettendo in evidenza il riff “paludoso” di Kimbrough e i ritmi centroamericani delle percussioni, in una versione che non deluderà il buon Keith Richards. Per la chiusa, la scelta cade invece su un brano di papà Johnny, Love Song, in un estremo e forse ingenuo appello all'amore universale.