![Cyclone<small></small>](/foto/musica/recensioni/big/2935-serpenti-cyclone-20140423163951.jpg)
Insomma questo nuovo Cyclone dei Serpenti sembra davvero, di primo acchito, un’operazione commerciale in stile anni Ottanta quando, per sfondare, dovevi star ben lontano dalla tua lingua madre e quando al grido di Vamos a la playa si pensava solamente a rifarsi l’abbronzatura più scura e duratura dell’estate. Questo nuovo lavoro si presenta perciò come una trasposizione in inglese delle migliori canzoni tratte dai precedenti lavori della band. Le basi elettroniche e le ritmiche paiono rinvigorite dall’uso massiccio di sonorità tanto toniche quanto vintage; mentre l’uso caricaturale e corporeo di un’immagine alla Miley Cyrus banalizza e rende perfettamente tutto quel senso artificioso di eccitazione collettiva tipico dell’epoca. L’uso dell’inglese in questo caso ha sicuramente restituito una certa ariosità alle melodie precedentemente metabolizzate, ma allo stesso tempo le ha irrimediabilmente invecchiate e datate. I Serpenti con questa mossa non aggiungono niente a quanto già di buono fatto in precedenza, ma cercano probabilmente di perseguire con un’unica mossa due obiettivi. Il primo meno nobile è quello di rivitalizzare un ottimo lavoro di genere da un punto meramente commerciale, cercando di arrivare con l’inglese laddove non si era arrivati con l’italiano, causa scarsa visibilità. Il secondo, quello di proseguire in maniera coerente la metodologia di approccio basata su un manierismo portabandiera, fortemente voluto e per niente di comodo.
Come già segnalato in precedenza in un periodo storico di crisi, senza idee anche l’iperbole può diventare il massimo dell’anticonformismo. L’applicazione può così divenire anche pura esaltazione dell’imitazione per una rappresentazione meccanica e teatrale di testimonianza a volte provocatoria. L’unico rischio vero proviene dall’uso sistematico di stereotipi sia nell’impianto sonoro, sia nella costruzione dell’immagine: alla fine la troppa coerenza può risultare peggiore dell’incoerenza. Essere scambiati per Sabrina Salerno o Samantha Fox invece che per i Cold Cave è un attimo, nel bene e nel male. Ben venga comunque la ricerca di un’estetica anni Ottanta che passi, ora come allora, dalla sua connotazione più sensuale ed erotica, anche se con in dote tutto il suo carico di superficialità e fragilità.