Peo Alfonsi Il velo di Iside
2012 - Egea
Questo lavoro si inserisce sulla scia del precedente riconfermando le radici mediterranee del sentire di Peo, unite ad un’apertura grammaticale che va oltre i limiti della caratterizzazione geografica; viste le origini ci viene naturale un richiamo al conterraneo Fresu che, pur esercitandosi su di uno strumento diverso, ha dato luogo a pagine interallacciate di jazz acustico e musica da camera con forti capacità evocative.
Peo ricorre al mito del velo di Iside per ricordare che, quando il velo cade, la realtà viene liberata dalle illusioni del mondo materiale ed appare in tutta la sua estensione, a stento sostenibile tanto da suscitare anche reazioni di nostalgia per via dell’impossibilità di abbracciare il tutto che il velo nascondeva.
Le tracce del disco sono fortemente funzionali a questo intento narrativo grazie alle dinamiche ovattate che fanno sì che i suoni “effondano” nello spazio circostante, abbracciando l’ascoltatore con delicatezza.
Il gioco è tipico del piccolo ensemble (quartetto o quintetto) composto da Peo alle chitarre e da compagni di avventura quali G. Mirabassi (clarinetto), J.K. Gregory (tromba e flicorno), S. Maiore (basso e violoncello), F. Sotgiu (percussioni e violiono), F. Beccalossi (fisarmonica) e M. Vicentini (viola) che si alternano nei vari pezzi secondo schemi variati.
La chitarra di Alfonsi ci ricorda per certi versi quella di Charlie Byrd quando suonava partiture latineggianti con Stan Getz; accordi contemporanei ad arpeggi e uso di note aggiunte che richiamano il tema melodico; un chitarrismo multifunzionale, volendo usare un termine dei nostri giorni.
Questo effetto è evidente nei pezzi in cui Peo è solista, come Iñarritu e Routine #6, ma è una costante anche negli altri brani dove il ruolo del protagonista viene assunto dagli altri strumenti melodici costituendo la vera e propria caratteristica del disco.
Un brano esemplificativo è Verso Itaca, nel quale le voci del flicorno, del clarinetto e della viola solo apparentemente recitano l’aria solista; in realtà lo sviluppo è in contrappunto con la chitarra mantenendo una tessitura leggera ma ricca di sfumature.
Il gioco delle sfumature è un’altra caratteristica del lavoro: le percussioni sono una coloritura più che un sostegno ritmico, come si può notare nel brano di esordio; il timbro acustico delle stringhe è usato con molta sapienza, come documentato in Angel e nella tensione della viola in Fraintendimenti; il flicorno è utilizzato quasi ovunque con un effetto di canto attutito ma lirico che sovente arriva al nostalgico.
Peo tuttavia non è mai pedante e punteggia gli episodi con richiami divertenti all’Inno della Gioia (sempre in Fraintendimenti), ad un certo folk jazz alla Trovesi (Niana), alla musica orientale (Sulle dune), alla danza leggera messicana (Pico-tico), alla Spagna con spigolosità basche (Iñarritu).
Il risultato è un disco che rilassa l’ascolto ma tiene in tensione la mente, proprio perché se il velo di Iside cade non si riesce a restare indifferenti.