Neil Young & Crazy Horse Americana
2012 - Reprise
In questo bizzarro Americana, a firma Neil Young & Crazy Horse, abbiamo una declinazione a volte beffarda a volte carica di amore, di una serie di standard, brani tradizionali e altre amenità (tra cui un’irriverente God Save The Queen che destabilizza ancora di più l’ipotesi di poter trovare facilmente un focus all’opera). Il tutto prendendo ispirazione primaria dal lavoro di Tim Rose che “inventò”, nel 1964, il Folk-Rock.
Il suono è quello dei migliori Crazy Horse: monolitico e potente quanto fragile negli equilibri, dove in più di un’occasione il groove ritmico si modifica, struttura e definisce con il passare dei secondi. Registrazioni live quasi improvvisate con tutta la bellezza e spontaneità della scoperta del groove “in quel preciso momento”.
Più tradizionale, oserei dire tradizionalista, è invece l’uso dei cori. Questo avviene non tanto nelle voci di Young e degli Horses, fortunatamente e piacevolmente sempre leggermente sgraziate e acide al punto giusto, ma nelle voci, prevalentemente femminili, che spesso sembrano appesantire i brani. Questo uso dei cori, che a noi mediterranei risulta un po’ fastidioso, è però esattamente ciò che gli americani, ma anche tedeschi o anglosassoni, hanno in testa come le classiche voci che accompagnano brani tradizionali.
L’omaggio “americano” è comunque americano non tanto, e non solo, nella scelta dei brani, quanto rispetto ad un modo di pensare gli arrangiamenti con quella americanità, ormai tradizionale, chiamata rock’n’roll. Per anni abbiamo ragionato su cosa sia oggi il rnr: ebbene in parte Young con questo disco ci rimanda a come il rnr sia “La” musica tradizionale della seconda metà del ‘900 e, come questo “essere tradizione”, abbia ancora al suo interno una purezza e una forza trascinante se suonata con la giusta energia.
Ecco allora, le sorprendenti Oh Susanna e Clementine che recuperano filastrocche infantili restituendole in una lettura storica e adulta di grande rock; la tradizione di Gallows Pole riletta a partire da Odetta; la scura murder ballad Tom Dula; il doo wop “politico” di Get A Job; il gospel trasfigurato di Jesus’ Chariot; il (forse scontato) Guthrie di This Land Is Your Land impreziosito da un complesso giro di cantanti e cori (Stephen Stills su tutti); c’è anche High Flyin’ Bird e, alla fine, sorpresa ed emblema di tutta l’operazione, Good Save The Queen a trovare una nuova vita tra irriverenza e rispetto in un gioco al quale chiedere “altro” forse non è solo speculazione.
Il Booklet infine è prezioso per le informazioni puntuali che dà sulle origini e i riferimenti usati per ogni brano.