Mosquitos Ventilator blues
2006 - Fosbury Records / Audioglobe
Cosa è successo nel frattempo? Cosa è cambiato e ci ha convinto a promuovere tra i “grandi” la band di Frosinone? C’è stato sì un Ep di cover significative (Byrds, Modern Lovers, Hüsker Dü, Pixies) e ci sono stati degli importanti innesti in formazione (Sandro Martufi alle chitarre e Simona Fanfarillo alle tastiere), ma non è cambiato poi molto e per questo c’è una rock band italiana che prosegue nel suo progetto sviluppando un suono senza ripetersi e fregandosene di quanto essere più o meno di tendenza.
“Ventilator blues” amplia lo spettro musicale dei Mosquitos, ma allo stesso tempo lo conferma su quelle fondamenta che ben conosce chi è cresciuto con la parte più fertile dell’underground americano.
Il maggior pregio della band di Gianluca Testani sta nella competenza con cui si costruisce uno scenario: qualcuno potrà trovarci scorci di new-wave o qualche eco di indie-rock, ma anche sotto ai pezzi più pop come “Bird singing” non manca un corpo rock costruito con sagacia. Ciò che apprezziamo di queste canzoni è la volontà di comunicare un suono e un’identità più che un’estetica o una posa.
I Mosquitos presentano un mondo di sopravvissuti (e non potrebbe essere altrimenti per chi fa rock), un paesaggio urbano in cui suoni e personaggi compaiono e scompaiono come in una breve storia noir: assassini, creature bastarde e armate, tornano in continuazione in una metropoli ferita, viva solo nel proprio conflitto intestino. Nella stessa direzione va la musica: “The guns and the bombs”, con le chitarre che fanno attrito con la ritmica, e “Sylvia”, alienata anche nei ritorni del piano, compongono subito un attacco ruvido.
Le canzoni non si costituiscono di molte note né cercano un impatto pesante; l’obiettivo è piuttosto quello di creare tensione come dimostrano “Zed” che si impunta ad ogni giro e “By the gun” con un intro western banjo e armonica poi cavalcato alla Thin White Rope. Lo stesso succede nelle ballate in cui ogni ripetizione degli strumenti e della voce si insinua in modo sinistro.
Va dato merito a Simona Fanfarillo per essersi inserita in questo ambiente con le tastiere, strumento sempre “rischioso” nel rock. Da elogiare comunque tutto il gruppo che lavorando d’insieme è riuscito ad offrire un album completo.
Come una vera band, i Mosquitos si distinguono anche per la concisione: il disco dura trentotto minuti e anche stavolta ci presenta uno squarcio inquieto quanto basta per suonare rock senza alcun italianismo.