Marc Ribot Spiritual unity
2005 - Pi Recordings
Queste collaborazioni però sono solo alcuni degli sbocchi di una ricerca condotta per anni in bilico tra avanguardia e jazz con progetti che lo hanno visto nei Lounge Lizards e nei Jazz Passengers, oppure a fianco di Arto Lindsay, Bill Frisell, John Zorn e via dicendo. Quanti non conoscessero questo lato più colto della sua musica potrebbero rimanere spiazzati da “Spiritual unity” che non è una raccolta di canzoni arrangiate alterando l’immediatezza dei pezzi, come Ribot ha spesso fatto in campo rock.
È un disco di matrice jazz che propende volentieri verso il free con numerosi momenti improvvisati. L’idea è di riproporre la musica di Albert Ayler, sassofonista fondamentale per la componente mistica portata appunto all’interno del free-jazz.
Per chi come il sottoscritto non conosce la materia ayleriana ed è più affine al Ribot chitarrista al servizio di qualche fantasma rock, “Spiritual unity” è un lavoro ostico e complesso.
La formazione è composta da musicisti di grande caratura come Roy Campbell (tromba), Chad Taylor (batteria) e Henry Grimes (contrabbasso): quest’ultimo ha suonato negli anni ‘60 con Ayler e, tornato nel giro del jazz dopo vent’anni, ha fornito a Ribot l’occasione giusta per affrontare queste composizioni.
Si tratta di cinque brani che sono di sicuro interesse per gli esperti e che vanno invece trascesi per quanti invece più ignoranti del genere: portare a trascendere i generi e la musica stessa sembra infatti essere l’obiettivo del quartetto come forse lo era originariamente anche di Albert Ayler. Non a caso in più di un’occasione i quattro arrivano a sfiorare anche la musica africana.
Gli strumenti rispondono a richiami interni ed esterni al pezzo, prendendo direzioni diverse che poi si incrociano per giungere a delle contorsioni esemplari, che ad un ascolto distratto possono sembrare un caos ansimante piuttosto che un’estasi sublime.
Chitarra e tromba giocano ad appaiarsi e a separarsi: al richiamo di Campbell risponde Ribot stortando qualunque possibilità di tema e offrendo alla ritmica la via per dei crescendi compulsivi. Da segnalare “Truth is marching in” e la conclusiva “Bells”, con la prima che rappresenta l’apice del disco e la seconda che libera l’energia accumulata in una saltellante marcetta d’avanguardia.
“Spiritual unity” ha un’intensità esclusiva e uno spirito d’avanguardia libera, che lo avvicinano ai grandi dischi free del passato.