Iacampo Flores

In principio furono gli Elle con il rigore dei loro clangori. Poi Goodmorningboy e il suo progetto fedele alla linea dettata dal rock d’autore. Da qualunque prospettiva lo si voglia guardare, il percorso di Marco Iacampo è sempre stato proiettato verso un pervicace inseguimento della bellezza. E se Valetudo riuscì a elargire quantità ineludibili di carezze e di morbidi sogni, Flores, a tre anni di distanza da quel piccolo gioiello, continua a correre lungo il medesimo percorso. Affidandosi a suoni forse più scarnificati ma non per questo minimali. Chitarra acustica, sax e violoncello, oltre a uno ngoni, strumento in arrivo dal lontano Burkina Faso, concorrono a edificare dodici canzoni dalle sonorità piene e rotonde, emotive e raffinate. È un cantautorato sospeso fuori dal tempo quello proposto da Iacampo, poetico e sorretto da atmosfere ricercate che sfociano nel folk e nel jazzy, che a volte finiscono per risultare quasi diffidenti, altre più leggiadre (è il caso di “Due due due” o “Come una goccia”), con il Sud America, il Brasile in particolare, a riecheggiare in più di un’occasione.

Prodotta dall’ex Amor Fou Lezerio Rescigno, la nuova fatica discografica del cantautore veneto nasce da una tavolozza piena di colori tenui, messa in azione da un pittore elementare che sa indovinare il cielo. E che crede che la fioritura non sia nient’altro che un’esplosione silenziosa. Ossimoro utile a fotografare fedelmente il raggio d’azione di un album suonato e cantato da un musicista in splendida forma, dalla strabordante personalità, sicuro di sé e della propria forza evocativa. E la cui voce, a volte, ci piace affiancare allo stile di un Umberto Bindi meno teatrale e ridondante.

Come con gli Elle, come quando si affacciò il moniker di Goodmorningboy, la bellezza ha di nuovo salvato il mondo di Marco Iacampo. E un po’ anche il nostro.