I Cani Aurora
2016 - 42 Records
L’evoluzione dell’approccio musicale e narrativo rispetto agli album precedenti è netta ed evidente, si potrebbe dire quasi sorprendente per una band che, nel bene e nel male, ha segnato e influenzato una certa parte del panorama musicale italiano. Lontano dal cinismo critico e dalle narrazioni generazionali de Il sorprendente album d’esordio dei cani, più in là dell’individualismo d’artista di Glamour, con Aurora I Cani escono dai confini cittadini e personali per parlare dell’umanità come specie, dell’infinità dell’universo e della piccolezza del singolo individuo di fronte ad essa. I testi perdono parte di quella materialità, quell’immediatezza dialettica che tanto aveva caratterizzato soprattutto l’album d’esordio, in cui le situazioni, i personaggi, le cose e i luoghi sembravano potersi toccare con mano. La strumentale si spoglia delle tastiere aggressive, dei cambi rapidi, dei loop ossessivi, per lasciare spazio alla riflessione, a degli arrangiamenti leggeri e sfumati, a tratti così vuoti da sembrare quasi incompleti. Il tutto a rimarcare quel senso d’incompiutezza individuale nell’essere parte di un universo immenso e incomprensibile.
La sensazione che si ha già dal primo ascolto è che I Cani siano cresciuti come artisti e come persone, passando dallo sguardo spassionato dei vent’anni all’ansia del rapporto con il mondo dei trent’anni. A una ridefinizione di un suono nettamente più pulito e armonizzato si accompagna una maggiore profondità dei testi che, a parte la modella di Baby soldato, non hanno più come protagonisti dei personaggi ben definiti ma un io narrante che non va identificato con l’autore ma potrebbe essere chiunque, così come il noi non è più generazionale ma umano nel senso largo del termine, abbracciando l’umanità tutta, come in Protobodhisattva. Tra l’amore ridotto a qualcosa di materiale e monetizzabile di Questo nostro grande amore, la solitudine dell’abbandono ne Il posto più freddo, il sound anni ’80 di Non finirà, la banalità di cercarsi su Google di Calabi Yau; tra la teoria delle stringhe, Plutone, nucleotidi e cose stupide, la visione de I Cani è passata dal cinismo più sfrontato ad un romanticismo moderno basato sul rapporto fisico e chimico tra l’uomo e l’universo che lo sovrasta. Inevitabile la fine di tutto, con i due brani che chiudono l’album, Finirà e Sparire, che raccontano rispettivamente della fine di tutte le cose e la morte dell’individuo, racchiudendo il senso dell’intero album: quello che non mi fa addormentare non è il sociale / non è il triste destino che attende questo mondo cane / ma è un brivido lucido e nero come di seta / una scossa dal cuore alla pelle / un buio Ω.
Aurora è un balzo in avanti nell’evoluzione artistica di una band che è riuscita ad uscire dagli schemi stilistici in cui rischiava di restare intrappolata, producendo un album profondamente diverso dai precedenti per contenuti e forme, in cui il contrasto tra la leggerezza delle melodie e la profondità dei testi crea un cortocircuito emotivo che da maggior valore a entrambi.