Piccolo test propedeutico-introduttivo, il tema è: cosa mi aspetto da un disco. Possibili risposte alla domanda: a) che sia trendy, ectoplasma di house music, capace di farmi zompare come un orangu-tang appena più evoluto; b) che suoni giovanilista, (sotto)prodotto di talent-show e pieno così di singoli buoni per la mia play-list; c) che mi faccia canticchiare sotto la doccia a dispetto della vita agra che mi tocca sopportare; d) che mi rilassi come nemmeno la camomilla sogni d’oro (o un cannone fatto come si deve) e - per dirla come la storica Avvelenata di Guccini - “a culo tutto il resto”. A questo punto c’è un’altra cosa che devo dirvi, e ve la dico come un fratello maggiore (rompicoglioni, ma pur sempre fratello): se davanti a ogni nuovo cd vi sfiorassero pensieri della risma di cui sopra, astenetevi dagli album dei Gang come i Testimoni di Geova si astengono dal sangue. Non fanno per voi.
In caso contrario cominciate sin d’ora a leccarvi barba e baffi (se li avete) e/o a spellarvi le mani dagli applausi perché la guardia rossa del combat folk si è fatta sotto con un altro bell’esempio di canzone con le palle al tempo dei belati dove ti giri giri. Canzoni che spazzolano il cuore e spalancano il cervello, canzoni che, per ciò, resistono alla polvere, necessitando semmai di un nuovo mastering analogico.
E così, dopo il make-up-live a Le radici e le ali (2012), tocca a Il seme e e la speranza (era uscito nel 2006) rifarsi il trucco in salsa appena un po' slow, ri-proponendo il sussidiario Gang di temi e storie universali: pace, giustizia, libertà, solidarietà di classe. Nella fattispecie il filo rosso è dato da svariate declinazioni di cultura contadina, a partire dal rispolvero brut delle ballate folk marchigiane (Le voci della terra, uno due e tre) e dagli omaggi al Quarto Stato “che resiste” con la classica Saluteremo il Signor Padrone, e dal dittico sulla fatica La canzone dell’emigrante e Il lavoro per il pane. A convivere a proprio agio in una scaletta che ha tutta l’aria del concept, altre hit da ri-assimilare dei fratelli Severinii: le resistenziali La pianura dei 7 fratelli (qui eseguita dal coro delle mondine di Novi) e 4 maggio 1944. In memoria (racconta il massacro fascista della famiglia Mazzarini) e le apologetiche-rivoluzionarie Comandante e Chico Mendez.
Il microcosmo terragno di chi lavora e lotta per la terra si staglie in tutte le sue ataviche sfumature in E’ terra nostra, Lacrime dal sole, e nell’omaggio a Woody Guthrie This land is your land (occorre tradurre?). In definitiva: Il seme e la speranza non è il disco nuovo dei Gang che stiamo/sto aspettando (a quando un album di inediti?) ma la riproposta – con divagazioni e lieve restyling – di un loro caposaldo discografico per niente furba, che non dispiace affatto. Alla luce dell’inedia discografica che suona d’intorno, meno che mai. In perfetto Gang-style, Il seme e la speranza si edifica su ballate che se da un lato non le mandano a dire, dall’altro non tralasciano una pars connstruens che passa dal ritono a una dimensione più umana e dunque compartecipe, unitaria, comunista (se ancora si può scrivere). Accenni di canzone d’autore, frammenti folk/rock, diversa prosa di stampo militante, fanno risultare i lavori della combat-band marchigiana tra i più coerenti e meritori del panorama discografico. E se mai vi venisse la curiosità di vedere come se la cavano con la ritrattistica dai toni più soffusi, alla traccia tre della scaletta c’è A Maria che spiega bene la tempra poetica dei fratelli Sandro e Marino Severini. La cover evocativa del cd è di Enzo Cucchi.