interviste
Gang Una lunga chiacchierata con Marino Severini definisce il percorso musicale, ma anche politico e filosofico di una delle più importanti band della storia musicale di questo paese. (di Marcello Matranga e Aldo Pedron)
#Gang#Italiana#Canzone d`autore Mataria `d Langa Buscadero Day 2018
Parlare con Marino Severini è un'esperienza bellissima. Ti apre un mondo fatto di passioni, politica, filosofia, realtà, storia, musica, religione. Il tutto senza mai essere banali. Certo, a volte non ci si trova d'accordo con certe sue affermazioni, ma l'eloquio non è mai arrogante o presuntuoso. Ti invita e stimola al contraddittorio. Insomma una di quelle persone con le quali non si scade nella banalizzazione, ma senza volersi mai prendere completamente sul serio, lasciano spazio all'ironia ed al divertimento. Quello che leggerete è un sunto di una chiacchierata lunghissima, sviluppatasi nel corso di qualche mese, e che adesso, con la band impegnata nel tour estivo che la vedrà approdare nella roccaforte di Mataria 'd Langa sabato 21 Luglio, ed io giorno dopo al Buscadero Day (finalmente!!), ci è sembrato il momento giusto per svelarla ai lettori di Mescalina.it.
Una formazione, la vostra, che ha fatto dell’impegno, della polemica, della denuncia le sue caratteristiche fondamentali. Le canzoni e le storie che voi raccontate sono un ritratto dell’Italia dove si sommano briganti e terroristi, profeti e martiri, mafiosi, camorristi e contestatori, paesaggi e personaggi fuori dal comune. E’ la parte più tragica del nostro paese, ma è tutto così. Cosa ne pensi? Per rispondere avrei bisogno però di iniziare con un "campo lungo" anzi lunghissimo, prima di arrivare, inquadratura dopo inquadratura, al "primo piano ". Allora, la sinistra per anni e anni si è ritrovata baldanzosa sotto una sorta di "parola d'ordine" o di striscione con su scritto "La Storia siamo Noi", da De Gregori a Minoli passando per un'infinità di manifestazioni, seminari, organismi pseudo- culturali. E questa è una grande e consolatoria Menzogna! La Storia appartiene ed è sempre appartenuta ai vincitori! Chi vince ha la Storia e ne impone la propria versione con i mezzi che ha a disposizione, quelli del potere. Noi con la storia non abbiamo nessuna confidenza, pochissime volte siamo entrati sfondando il portone, nella storia, ma subito dopo siamo stati sbattuti fuori sulla strada. E allora, noi che abbiamo avuto nei secoli dei secoli? Noi abbiamo avuto le storie! Al plurale. Le nostre storie, quelle dei vinti. Storie che fanno un'altra storia, la nostra. E quando ricordiamo queste nostre storie significa che non abbiamo dimenticato il cammino fatto, quello delle violenze subite, dell'esclusione, della repressione, del riscatto della lotta. Quindi attraverso le storie noi manteniamo in vita la memoria, che è l'unico strumento che da vinti ci rende invincibili. In queste storie vive e si rinnova continuamente la nostra cultura, quella popolare. Una cultura che ha come caratteristica portante l’eternità e non l'universalità. La cultura popolare è eterna, ci conduce nel mito, all'esterno della storia, e da fuori, a volte, con essa torniamo fuori dalla storia dove abita il sacro, la divinità, un territorio a cui si giunge non solo con la fede ma proprio perchè "le Vie del Signore sono infinite” , si può arrivare fin qui anche attraverso un pensiero e un'esperienza laica, quell'unità, l'umanità nuova, e quel punto di arrivo è limite e soglia, nello stesso punto e nello stesso istante. La cultura popolare è custode del tempo e di esso ne ha coscienza e cura, quindi sa distinguere fra tempo dell'essere e tempo dell'esistere e, fra i due, essa è ponte! Il rock’n' roll (che nasce dalla canzone moderna di Guthrie) è la più grande cultura popolare del 900 soltanto poichè è guidata e animata da tale spirito. Robert Plant a tale proposito diceva che il R'n'R è fatto da tante e tante canzoni ma tutte sono sempre la stessa canzone, una sola canzone. Quella che sta dalla parte dell'eternità e non del "denaro". Dalla sua cultura nasce e risorge il popolo! Colui al quale la democrazia riconosce la sovranità, ma il potere non è quello di un popolo storicizzato ma il potere è nel popolo, cioè nella sua cultura, quella che lo rende legittimo custode e interprete de l'eternità. Su questo muove ogni civiltà, il cammino dell'umanità sulla terra. Un cammino che avviene su due piedi, quello della religione e quello della legge (essere ed esistere). Ed entrambi possono camminare se trovano fra loro un equilibrio che è dato da un punto preciso e comune. Questo punto o pietra angolare la potremmo tradurre in modo volgare col “principio dei principi" Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. Se togliamo questo punto di equilibrio ecco che cadono tutte le leggi e tutte le religioni. E le civiltà !
Nel 1989 nel disco Reds appare un brano Emigration Song di Ambrogio Sparagna. Si può dire che è stato lui a influenzarvi e convincervi sempre di più a recuperare storie, canzoni, filastrocche e pensieri delle tradizioni popolari (italiane) ?
Nel 1986 uscì una rivista molto importante "I giorni Cantati" diretta da Alessandro Portelli e dal circolo Gianni Bosio. Ancora oggi torno su quelle pagine abbastanza spesso. A scriverci fra gli altri c'era Felice Liperi che conoscevamo da tempo. Ebbene, nel primo numero venne pubblicata una sorta di mini-biografia nostra a cura di Felice Liperi. fu lui che dice a Portelli che "C'era un gruppo punk marchigiano, i Gang, che suonavano alla Clash, e che citavano in ogni intervista gli articoli e i libri scritti da Portelli. Ben presto ci conoscemmo di persona e dal primo incontro fu Alessandro che cercò di convincerci a cantare in italiano e soprattutto "di riportare tutto a casa” e di cercare di fondere le nostre radici folk con il punk di matrice anglosassone. Fu lui e soprattutto la sua autorevolezza. la grande stima che nutrivo nei suoi confronti a farmi pensare che era giunto il momento di "svoltare" verso casa e la prima mossa di Portelli perchè ciò avvenisse, fu quella di farci conoscere con Ambrogio Sparagna. Soprattutto perchè siamo marchigiani e l'organetto è da sempre lo strumento caratteristico delle nostre tradizioni musicali ancor più della fisarmonica. Sparagna accettò la sfida, venne a casa nostra e cominciammo pian piano a far convivere le nostre nuove canzoni con le sue frasi i suoi timbri il suo stile. E in Reds incidemmo un suo brano che è Emigration Song. Quindi per tornare alla domanda iniziale, posso affermare che se c'è stato uno che ci e mi ha convinto a intraprendere quella che strada che di fatto iniziò con il capitolo Le Radici e Le Ali, quello fu Alessandro Portelli che restano ancora oggi insieme al filosofo Mario Tronti e al pensiero cristiano socialista di Ernesto Balducci i miei riferimenti principali per orientarmi su queste strade polverose che continuo a “battere".
Nel 1986 con il 45 giri Against the Dollar-Power avete inciso come facciata B un brano It says here di Billy Bragg. Una canzone contro la disinformazione della stampa di regime. Poi lo stesso Billy Bragg ha co-prodotto il vostro album Barricada Rumble Beat (1987). Come è stata come esperienza lavorare con lui e le sue canzoni sono così importanti dal punto di vista compositivo, per i testi intendiamo per voi?
Bragg più che co-produrre, partecipò alle registrazioni di Barricada. E' presente in due canzoni Goin’ to the Crossroad dove suona la chitarra e nella cover di Junco Partner dove canta e suona la sua sei corde elettrica. Da allora, quindi dal 1986, con Bragg facemmo diversi tour in Italia e ci siamo ritrovati più volte nel corso del tempo, insieme sullo stesso palco a suonare canzoni dei Clash come Garageland o Career Opportinities o I Fought the Law...ed è sempres stata una festa ! Bragg mi ha insegnato allora che “si poteva fare”! Mi ha ribadito un fatto importante, e mi ha dimostrato “a cosa possa servire una chitarra”. Lui è stato il più autorevole musicista nella battaglia contro il governo della Tatcher in Inghilterra, a cominciare dal suo apporto alle lotte dei minatori negli anni ’80. Da sempre ha dimostrato poi interesse e solidarietà con molte altre lotte civili e cause politiche in tutto il mondo. Con lui è un pò rinato lo Spirito Guida, quello degli inizi, quello di Woody Guthrie, passando chiaramente per gruppi come i Clash o i Jam. Ma nel suo repertorio non ci sono soltanto “canzoni di lotta”, ma molte canzoni d’amore perchè come diceva il Che “bisogna essere duri senza perdere la tenerezza”. E nel caso di Billy Bragg e del suo cazoniere potrei anche aggiungere uno slogan che fa parte della mia generazione e degli anni della mia formazione, cioè “il privato è politico”, nel senso che non si può e non si deve separare nettamente la sfera più intima delle nostre relazioni dalla nostra partecipazione alla vita pubblica.
Billy Bragg, nel 1984, ha detto “Quando un artista folk sale sul palco con la sua chitarra puà pensare di essere James Taylo o Bob Dylan. Quando ci salgo io, penso ancora di essere i Clash” (New Musical Express 1984). Ti riconosci anche tu in una cosa del genere?
Forse un tempo è stato così. Oggi non sento quel tipo di “furore” che i Clash più di ogni altra r’n’r band hanno saputo espromere negli anni a cavallo fra i ’70 e gli ’80. Diciamo che cerco di scendere nelle profondità dei sentimenti, di commuovere, di trovare una sorta di condivisione e partecipazione, di unità direi, ma toccando altre corde, diverse da quelle della rabbia o dell’odio. Di fatto credo che “le vie del Signore sono infinite”, quindi per raggiungere i cuori e le menti, oggi, cerco di camminare e percorrere strade diverse da quelle che ho percorso più di 25 anni fa.
Le Radici e le Ali lo riteniamo uno dei vostri lavori migliori? Ci sono ospiti come Massimo Bubola, Mauro Pagani e Daniele Sepe. Da qui il grido di La lotta continua e Socialdemocrazia che sono attuali ancora oggi. Mai arrendersi, la lotta per la giustizia e per una Italia migliore continua, giusto?
Diciamo che le "cose" oggi sono andate peggiorando rispetto ai primi anni ’90, quando incidemmo le canzoni che hai citato. La Lotta è l'unico strumento per liberarsi dalle catene che oggi sono diventate molto più strette rispetto al passato. Bisogna però intendersi bene sugli obbiettivi, e per ritrovarci oggi su nuovi territori e nuovi campi di lotta occorre innanzitutto una grande Rivoluzione Culturale e quindi l'incontro di tre grandi tradizioni che sono vive ancora, nonostante tutto, nel nostro paese. la tradizione cristiana, quella socialista o comunista ma a partire da Gramsci, e la tradizione delle minoranze (quelle delle sinistre eretiche, del movimento delle donne, degli emigranti, delle subculture.). Oggi chiaramente non ha più senso parlare di "Socialdemocrazia" il modello con cui si impone il capitalismo è più che altro quello di un neo-medioevo, e più che parlare di capitalismo o liberismo che dir si voglia, oggi abbiamo a che fare con una divinità che è il profitto, che in quanto tale pervade ogni schieramento ideologico e non, e non abbiamo più i "padroni " o "la borghesia" o i soliti cani da guardia che un tempo erano i fascisti, ma abbiamo a che fare con i predatori. Quindi anche le strategie di lotta vanno riviste e organizzate in altro modo rispetto a quelle che abbiamo conosciuto fino ad oggi. Il riscatto e la lotta oggi passano inevitabilmente in una fase di transizione che è quella di un nuovo umanesimo. Per restare gli stessi occorre cambiare e trovare soprattutto la nuova differenza!
Le vostre canzoni parlano e raccontano fatti reali con citazioni come alla Banda Cavallero, Gaetano Bresci e a Renato Curcio in Bandito senza tempo (dall’album Le radici e le Ali del 1991). Quanto è importante e perché fare riferimento a questi malavitosi e dubbi personaggi?
La protesta è finita con la generazione. E' un termine che valeva negli anni ’60, i movimenti di protesta per i diritti civili americani, quelli contro la guerra ecc ecc. Io non credo di aver scritto mai canzoni di protesta e non ho mai protestato contro nessuno cantando. Il mio lavoro è quello di “fare“ canzoni, come un muratore fa le case, infatti sono figlio di un muratore. E la canzone che cerco di fare è come una casa piccola piccola ma che contiene un'infinità di linguaggi, stili, espressioni artistiche e non, fra queste c'è anche la musica. In una canzone ci sono frammenti di teatro, cinema, poesia, fumetto, danza, pittura, la canzone si costruisce con moltissimi materiali, anche con la musica. Posso aggiungere una considerazione oggettiva e cioè che in tempi come questi e per molti motivi, la musica non svolge più quel ruolo di primo piano fra gli interessi, i riferimenti, le aspettative delle nuove generazioni, come invece è accaduto per circa mezzo secolo, quello passato. La musica è stata un faro che illuminava uno sconfinato territorio ma soprattutto è stata un grande fiume, dove infiniti torrenti sono affluiti. Un fiume in piena che ha travolto e trascinato la creatività di più generazioni, per poi condurla nell'cceano della storia. Oggi questo non accade soprattutto perchè sono altre le acque invitanti in cui i più giovani vanno a bagnarsi e a dissetarsi. A chiamare a raccolta magari sono i territori di Internet, del resto c'è stata una rivoluzione, quella satellitare, l'ultima in ordine di tempo, ed è normale che i più giovani siano anche i pià attratti dalle rivoluzioni. La musica come del resto la politica ha perso il posto di primo piano fra gli interessi e le curiosità delle nuove generazioni e queste oggi cercano la meraviglia altrove ma non significa affatto che la musica o meglio le canzoni stiano morendo o che moriranno a breve. Anche un fiume nel suo cammino verso il grande mare può trovare territori non favorevoli, anche ostili; può diventare palude, stagno o può correre sottoterra, diventare invisibile allo sguardo e all'orecchio umano ma c'è ancora !Magari con la stagione delle grandi piogge, il fiume potrà nuovamente ingrossarsi e tornare ad essere in piena e allora ci accorgeremo che “la canzone è cambiata“ o, come si dice, “la musica è cambiata“ Il mio “lavoro“ consiste quindi semplicemente nello scrivere canzoni. Molte di queste traggono ispirazione dalle storie e aspirano a diventare delle ballate popolari. Chiamo tutto ciò “lavoro” poichè è uno strumento che mi è stato consegnato dalla tradizione per poter incontrare, crescere, conoscere, in altre parole per “emanciparmi“, per diventare un uomo libero; che per me significa innanzitutto fare bene, cioè fare in modo che il risultato sia un bene comune e non semplicemente una merce destinata al mero consumo. Così mi “muovo“, cammino e vado incontro su queste strade “secondarie“ alle storie. Alcune di esse a volte mi attraversano come un vento, altre volte le vado a cercare risalendo la corrente, andando in senso “contrario“ fino alla fonte per poi dissetarmi, per rigenerarmi in modo che, queste storie ritrovate, una volta trasformate in canzoni o meglio in ballate popolari, possano trovare un canto comune. Di solito cerco di trasformare in canzoni quelle storie che sono destinate all'eternità poichè è da li' che provengono. In sostanza io non faccio altro che “riportarle a casa“. Sono storie in cui rivivono quei principi e quei valori eterni che fanno una volta per sempre l'umanità, dove essi si materializzano, diventano secolari, si fanno storie o meglio testimonianze! Questo fatto le rende “popolari “ in quanto la cultura popolare, a cui appartengono, ha in se una caratteristica che la distingue dalle altre culture, l'eternità ! La cultura popolare non aspira all'universalità ma tende per natura a camminare fino all'orizzonte della storia per poi superarlo, cerca con ogni sua storia di valicare il tempo dell'esistere per risiedere finalmente nel tempo dell'essere. Le storie sono quelle degli ultimi, dei vinti, degli sfruttati, dei violentati, degli emarginati, dei perseguitati, dei miti, degli umili e reietti, dei beati , di quelli che sono portatori di un messaggio di liberazione. Sono gli eletti ! Tutti coloro che lottano, che cercano il riscatto nel bene, i portatori del nuovo regno, della parola profetica, sono principalmente i banditi e i fuorilegge! Molte delle ballate che ho scritto cercano in qualche modo di rivitalizzare la figura o meglio il mito del fuorilegge, cioè di colui che “viola la legge per affermarne il principio“. O meglio quei principi o quei valori che fanno la civiltà. E il cammino di ogni civiltà è sempre avvenuto su “due piedi “: la religione e la legge. Un passo verso la liberazione e un altro verso la resurrezione. Ma entrambi questi piedi hanno un punto in comune o meglio un fondamento comune, un punto d'appoggio che li tiene in equilibrio, il principio dei principi, “non fare ad un altro quello che non vorresti fosse fatto a te“. Se uno toglie questo punto su cui poggia tutto il resto allora si sbanda e abbiamo il crollo di ogni religione e di ogni legge , di ogni ordine costituito e quando questo accade torna la figura del fuorilegge per ristabilire un nuovo ordine basato sempre sullo stesso ed eterno principio. Per spiegare questo concetto vorrei fare un esempio pratico: ho scritto molte canzoni ispirate alla Resistenza, a quella che Balducci definì “un immenso e glorioso sogno di Pace“. Non ho scritto queste canzoni semplicemente per un'appartenenza culturale o per affinità ideologica, o solo per rivitalizzare un sentimento della Memoria, quella “cosa“ che rende tutti i vinti invincibili. Ho voluto cantare questo momento storico perchè in esso attraverso i suoi protagonisti, quei principi che indicano la strada della casa comune, dell'umanità come una sola grande famiglia, che sono eterni e inviolabili, in quel periodo storico sono tornati a materializzarsi sono tornati a fare storia attraverso nuovi protagonisti: i partigiani! A questo proposito c'è un libro scritto da Nuto Revelli Il prete giusto, in cui don Raimondo Viale racconta la sua vita, quella di un uomo libero costretto ad una sfida impari e solitaria con gli eventi più drammatici del Novecento. Don Viale confida a Revelli una cosa importante a proposito della Resistenza: “La mia mentalità è evangelica rispetto alla Resistenza”. La Resistenza è una dote dell'uomo maturo, dell'uomo che rifiuta tutto ciò che è ingiusto e si ribella. La Bibbia è piena di resistenza, da Mosè, da Giacobbe, fino all'Apocalisse è tutta una resistenza. Persino Paolo, grande apostolo. resiste contro san Pietro che è la somma autorità costituita e gli dice “tu vai indietro invece di andare avanti, tu sei la legge di Mosè e non vuoi fare quei passi che Gesù ci ha insegnato a fare per conquistare il mondo...” La Resistenza quindi come un momento storico e storicizzabile ma che contiene in sè (come altri momenti storici) una cosa “sacra“, un principio fondamentale ed eterno: la vita che conserva la vita e respinge tutto ciò che è contrario alla dignità umana e quindi alla vita stessa. Le storie che io trasformo in ballate per il canto comune hanno in se questa anima, questi elementi di sacralità. Sono destinate all'eternità per questo. Di conseguenza molti dei Banditi e dei Fuorilegge che canto sono riusciti ad incarnare attraverso la loro testimonianza il “sacro“ vedi Chico Mendes, Ilaria Alpi, i fratelli Cervi, Moreno Locatelli, il comandante Marcos e molti altri…Attraverso le loro vite hanno testimoniato che l'umanità è una e inviolabile, hanno testimoniato il mito fondante de l'unità! E lo hanno fatto “una volta per sempre“ riaffermando l'eternità nel momento storico, cioe' si sono fatti storie .Ho sempre guardato da questa finestra o meglio da questa prospettiva il cammino lungo ed eterno della “ballata popolare“ a partire dal maestro della ballata “moderna“ o meglio il “mystic river “ della canzone popolare che è Woody Guthrie, passando per Bob Dylan fino a Joe Strummer e invito chiunque ad esporsi da questa visuale per rivedere ballate come quella della Fiat di Alfredo Bandelli, o la grande epica contenuta ne I treni per Reggio Calabria di Giovanna Marini e poi via via in quell'oceano di “giorni cantati“ testimoniati da Alessio Lega in Dall'Ultima Galleria, Giovanna Daffini, Caterina Bueno, Pietrangeli e Della Mea e poi Phil Ocks, Seeger e i suoi Almanac , Gil Scott Heron, Public Enemy, Dick Gaughan, Steve Earle, Marley, Christie Moore, Vysotsky, un cammino infinito tracciato dai CANTORI, da “costruttori“ di quelle ballate popolari che sono ancora oggi e resteranno per sempre, dei ponti fra due GRANDI rive, fra “il tempo dell'esistere e quello dell'essere“. Del resto i cantori più che politici sono dei Pontefici !
Con Duecento giorni a Palermo, omaggio alla vittima della mafia Pio La Torre c’è stata una lunga causa legale intentata da due esponenti politici evocati nel testo. Chi vi ha fatto causa e perché? E come è finita la questione giudiziaria?
Con 200 gioni a Palermo, abbiamo cercato di ricostruire lo scenario economico-politico del momento in cui avvenne l'omicidio di Pio La Torre, segretario regionale dell'allora PCI ucciso dalla mafia nell'aprile dell'82. Lo facemmo seguendo le inchieste giornalistiche di Michele Gambino, pubblicate sulla rista Avvenimenti. Questa canzone ci è costata (a me e Sandro in quanto autori) una citazione giudiziaria per aver accostato ai nomi di Ciancimino e Lima quelli del senatore pidiessino Russo (che ricoprì ai tempi la carica di presidente dell'Assemblea Regionale Siciliana), e di Sanfilippo (vicepresidente regionale della Leghe delle Cooperative in Sicilia). I due politici chiesero come risarcimento morale qualcosa come cinquecento milioni (oltre ai Gang sono stati citati la loro casa discografica, la CGD, il direttore, l'editore e il giornalista Gabriele de Ferraris del quotidiano La Stampa per aver dato la notizia della pubblicazione del disco Storie d'Italia sottolineando l'importanza di una canzone come 200 giorni a Palermo). Ma la cosa veramente sconcertante fu il totale silenzio su questa vicenda degli organi di stampa sia della sinistra istituzionale e non ( tutti!! solo 5-6 anni dopo l'inizio del processo mi sembra che il Manifesto e Liberazione scrissero due righe circa l'accaduto) sia per quel che riguardava la stampa musicale di allora. Tanto per fare i nomi, visto che siamo in tema, i soli giornalisti musicali che firmarono un documento di solidarietà nei nostri confronti furono Fausto Pirito, Enzo Gentile, Stefano Ronzani e Max Stefani ebbasta! La cosa grave è che questa vicenda non aveva un precedente in Italia, cioè nessun autore di canzoni era stato portato davanti ad un tribunale da un senatore. La vicenda finì nel 2003 con una sentenza del giudice ordinario con la quale condannava Russo ad un risarcimento nei nostri confronti e a noi con la casa discografica allo stesso risarcimento nei confronti di Sanfilippo e con l'assoluzione del giornalista Gabriele Ferraris e del gruppo editoriale de La Stampa di Torino. Non ricorremmo in appello perchè non avevamo di sicuro le risorse economiche per farlo in quanto l'assistenza legale che ci era stata fornita fino ad allora dallo studio legale di Galasso (presidente della commisssione antimafia) finiva per noi col primo grado del giudizio. Fu un'esperienza per certi versi traumatica e per altri molto istruttiva perchè nel corso degli anni incontrammo molte testimonianze a proposito delle attività politiche e non solo, di quella corrente, insita nel partito comunista, dei miglioristi, una brutta storia tutta italiana! E non solo.
Troviamo Sesto San Giovanni parole e musica di Massimo Bubola e Marino Severini dall'album Storie d'Italia, con la citazione a Billy Bragg e la storia di Luigino operaio alla Falck di Sesto San Giovanni una delle canzoni più belle del vostro repertorio. Una vera istantanea di un periodo che oggi può essere solo raccontato ai più giovani visto che le fabbriche della cintura milanese, come quelle di molte altre città, si sono trasformate, lasciando spesso solo “scheletri” di una gloriosa storia operaia di un tempo che oggi sembra essere virato sul bianco e nero. Sei d’accordo?
Durante i nostri concerti, prima di suonare e cantare questa canzone, sono solito da anni dire "due parole" a proposito della classe operaia, in sostanza io penso che oggi "quella" classe operaia, quella che è stata protagonista dell'emancipazione degli strati sociali più sfruttati e alienati di questo paese, in sostanza la stessa che ha diretto l'unico momento di vera modernità che noi italiani abbiamo conosciuto dalla fine della seconda guerra mondiale. Quella classe operaia non c'è più. Oggi ci sono gli operai ma non la classe operaia, e quando qualcuno fra i più giovani, fra quelli che non hanno asssistito a quella grande epica operaia, quelli che non c'erano, chiederanno a noi, ai piu' vecchi "chi era questa classe operaia?”. Ebbene dobbiamo essere sinceri e dire a loro ma soprattutto a noi stessi la verità. La classe operaia è stata una civiltà. Una civiltà meravigliosa. La classe operaia ha avuto una visione potente, grande del mondo! E secondo me la differenza fra quella classe operaia e i lavoratori o gli operai di oggi consiste semplicemente in questo: che quando c'era quella classe operaia si lottava e si vinceva perchè la posta in gioco non erano 50 mila lire in più nella busta paga, ma la posta in gioco era un'altra e si chiamava dignità! La dignità intesa come la definiva Ernesto Balducci, cioè Il diritto alla speranza! Il diritto di tutti i diritti, la radice di tutti i diritti. Oggi, alla sconfitta di quella classe operaia, è seguito un mutamento non tanto politico ma antropologico della forza lavoro. Oggi noi lavoratori siamo diventati, o meglio ci hanno costretto a diventare, semplicemente dei consumatori. Ed oggi, infatti, vorremmo 50 euro in più sulla busta paga solo per andarceli a spendere all'ipermercato sotto casa! Altro che dignità!!! Abbiamo rovesciato il fine cioè la dignità con il mezzo, cioè il salario, e abbiamo rinunciato al fine per un salario di merda!!! Potrei continuare ancora per molto ma finisco dicendo che “quella classe operaia” anche se sconfitta va sempre cantata! per ringraziarla, per averci insegnato come si conquista la dignità! Lottando!
Oltre ai testi sempre pungenti e polemici va anche detto che i vostri dischi sono suonati bene, tanto che i Gang sono stati consacrati come un’autentica e felice espressione di un rock un pò estremista, rivoluzionario, sovversivo, una band un po’ fuorilegge, di confine, tra il bene e il male schierata e rabbiosa, sempre pronta alla lotta ed alla contestazione. Rock vero, puro ed efficace. Quanto ha giocato la musica unita ai vostri testi nei vari dischi?
Guardando per un solo momento indietro a tutto il nostro canzoniere, disco dopo disco, puntata dopo puntata, potrei dire senza alcuna presunzione che la cornice che tiene insieme questo grande affresco non è altro che un Canto di Avvento per un Nuovo Umanesimo. Non è altro che il cucire lento, pezzo per pezzo, storia per storia, degli scarti, dei resti, o meglio di quello che resta ancora vivo di tre grandi tradizioni, quella cristiana quella socialista e comunista e quella delle minoranze. Le scelte musicali vanno di pari passo a quelle delle storie cantate, ed il ponte che siamo riusciti a costruire, o a ricostruire, come ognuno crede non è altro che quello che ci permette oggi di uscire dalle mura di un nuovo medioevo, da un pantano e da una cella d'acciaio, e di andare oltre le sbarre ed i confini, dopo aver attraversato il deserto, andando così incontro alla futura umanità!
Nell’album Controverso, Paz è dedicata ad Andrea Pazienza, poi c’è il brano realizzato con Erri De Luca, Reflescìasà, una delle mille storie di emigrazione. Non mancano le citazioni pasoliniane di Non è di Maggio ispirata alle Ceneri di Gramsci e Se mi guardi, vedi, definizione che Pasolini diede di Madre Teresa di Calcutta, é una che quando guarda, vede. Insomma Andrea Pazienza, Antonio Gramsci e Pierpaolo Pasolini in un solo album. Ma anche Clash e Pearl Jam dietro l’angolo o sbaglio?
Sono tutte Stazioni di una Passione di un cammino, di un esilio e di un ritorno, di un giro nella ruota del Tempo. E’ la colonna sonora rende tutto ciò una narrazione epica. Ecco la nostra parte nel Rock'n'Roll, la più grande cultura popolare del novecento. Fare in modo che questa cultura, non solo musicale, attraverso la forma canzone sappia nuovamente essere utile per una nuova epica, quella "storia" infinita di un cammino alla ricerca della libertà o meglio della liberazione.
Riviste come il Mucchio Selvaggio, L’Ultimo Buscadero o Rockerilla hanno dedicato copertine, ampi articoli o recensioni al vostro gruppo, vi hanno fortemente pubblicizzato e supportato. Cosa pensi della carta stampata in generale e di queste testate in particolare e se pensi ti abbiano aiutato?
Posso dire tranquillamente che riviste del genere sono state fondamentali per la nostra formazione, non solo e non tanto per la promozione dei nostri lavori. E questo anche e soprattutto in anni in cui non avevamo ancora iniziato l'Avventura dei Gang. Piu' di me, Sandro è stato fin dagli anni 70 uno molto attento alle riviste musicali o ai libri di critica musicale. Come ho già detto, Alessandro Portelli è stato e resta per me una sorta di guida, di guru, prima ancora di riviste come quelle che hai ricordato, a casa nostra abbiamo collezionato prima riviste come Ciao 2001, Giovani e poi Muzak, Re Nudo, Gong e poi anche Popster, Rockstar fino poi a Mucchio Selvaggio, Rockerilla, Buscadero, senza dimenticare le fanzine sparse in tutto il Paese, a tutte queste riviste devo molto sotto molti punti di vista; primo per l'informazione, le curiosità, le interviste a tanti artisti che amo, Poi, in particolare ho un debito, in termini di elementi di critica che ho ricevuto, da tanti validissimi giornalisti che hanno scritto su queste riviste. E da ultimo sono grato per averci permersso di far conoscere i nostri lavori a tanti come noi cresciuti a pane, vino e Rock’n'Roll!!!
Calibro 77, il vostro 13º album, é un disco integralmente di cover degli anni '70. E ‘ stato completamente autofinanziato attraverso il crowdfunding arrivando a 1056 co-produttori. Così come il precedente, il disco è stato prodotto artisticamente da Jono Manson e la maggior parte delle registrazioni si è svolta negli studi The Kitchen Sink, di Santa Fe (Nuovo Messico) negli Stati Uniti d'America. Registrazioni aggiuntive sono state fatte al Drum Code Studio di Sesta Godano (La Spezia), al Potemkin Studio di Macerata ad opera dell'ex Andrea Mei e al Mighty Toad Studio di Brooklyn, New York. Nonostante questo clima internazionale anche qui le canzoni sono scritte volutamente dai cantautori italiani più schierati o comunque da bravissimi autori/ artisti intensi ed incisivi. Molto bella Io ti racconto di Claudio Lolli da Un uomo in crisi. Canzoni di morte. Canzoni di vita del 1973. Perché e come hai fatto a scegliere il pezzo di Claudio Lolli?
Noi avevamo già provato Gli Zingari Felici ed era quella che “sulla carta“ sarebbe andata a far parte di Calibro 77. Poi Claudio è venuto a sapere del progetto e della canzone, fra le sue, che avevamo scelto, tramite Flavio Carretta, un comune e carissimo amico, a quel punto ci ha confessato un suo desiderio, che nel caso nostro avrebbe desiderato la cover di un'altra canzone e non sempre la consueta Gli Zingari Felici quando gli ho risposto dicendo che un'altra sua canzone poteva essere Io ti racconto, ha gioito e ci ha dato la sua “benedizione“. Poi durante le registrazioni del pezzo l'ho tenuto al corrente degli sviluppi, facendogli ascoltare le varie parti, gli arrangiamenti ed è stato molto molto contento del risultato finale.
Uno dei nostri cantanti ed autori italiani preferiti in assoluto, è Ricky Gianco, nel nuovo Calibro 77 ci sono ben due brani firmati in coppia da Gianfranco Manfredi e Ricky Gianco. Questa casa non la mollerò di Ricky Gianco da un 45 giri del 1978 (ma già eseguita dal vivo nel 1976) e Ma non é una malattia dall’omonimo album di Gianfranco Manfredi del 1976 pubblicato dalla etichetta Ultima Spiaggia attiva dal 1974 al 1979. L'Ultima Spiaggia fu fondata nel 1974 da Ricky Gianco e Nanni Ricordi. Parlaci della scelta di questi due brani?
La coppia Gianco - Manfredi è una testimonianza importantissima degli anni ’70. Loro non potevano mancare asssolutamente in questa nostra impresa di “amarcord“ e di rivitalizzazione di quel periodo. Di Gianco abbiamo scelto Questa casa non la mollerò per il ricordo ancora vivo che abbiamo di questa canzone e di Gianco al Parco Lambro del 76. Fu l'unico momento di “sano“ RnR di quel mitico raduno. Indimenticabile. Avremmo potuto scegliere molte altre canzoni di questo grande artista che ha attraversato 50 anni di canzone italiana con uno spirito decisamente Rock. Gianco per me è uno dei primi, dei veri pontefici fra il nostro e l'immaginario proveniente dall'America del dopoguerra. Se c'era Gianco non poteva mancare Manfredi con quella canzone che in quegli anni non mancava mai quando qualcuno di noi prendeva una chitarra e si cantava insieme. Una sorta di Hit ! Un inno! Che forse più di molte altre canzoni ci rappresentava (parlo per me e per quel gruppo di compagni con i quali in paese avevamo aperto un circolo del proletariato giovanile) e ci sapeva cantare e soprattutto far cantare, insieme.
Vi abbiamo visto in concerto recentemente, ma, nonostante la speranza, abbiamo notato che le canzoni del nuovo disco sono poco proposte. E’ una scelta precisa, o, come Marino ha fatto notare durante il set, la gente sembra non ricordare canzoni che, lo possiamo affermare con voi, hanno fatto la storia di un determinato periodo politico/culturale del nostro paese?
Ribadisco che quella degli anni ’70 è stata una meravigliosa stagione della canzone italiana. E fu la scena cosidetta dei “cantautori“ a crearla. Sono canzoni che vanno continuamente rivisitate, portate a nuova luce, almeno molte di esse. E' chiaro che quasi tutte hanno una “lingua“ dettata quell'urgenza del momento storico in cui sono nate ma contengono elementi che vanno oltre, in particolare sono utili al fine di fornire quell'Educazione sentimentale “legata al sogno all'utopia alla ricerca della libertà, quindi hanno elementi di eternità e dureranno ancora a lungo nonostante questi periodi di oblio di mancanza di memoria e di canto comune! Da parte Nostra stiamo cercando di dare un palcoscenico a queste canzoni anche con lo spettacolo Radio 77 che stiamo portando in giro in Italia insieme ad un grande protagonista della radio italiana, che è Daniele Biacchessi.
Cosa vedete dopo questa esperienza dal punto di vista discografico?
Non saprei...i dischi belli restano nel tempo e sarà questa lunga durata a decidere. Questo è un lavoro che è stato accolto benissimo da gran parte della critica musicale e del nostro pubblico, una riaffermazione soprattutto di un incontro fortunato fra noi e Jono Manson. Il fatto che tale risultato sia stato più che applaudito significa che sicuramente questo rapporto fra noi e Jono è destinato a dare altri frutti. Spero che per la fine del prossimo anno riusciremo in una terza impresa, stavolta con un disco di inediti.
Recentemente Claudio Lolli ha pubblicato un nuovo disco intitolato Il Grande Freddo, accopagnandosi con i musicisti con i quali incise Ho Visto Anche Degli Zingari Felici. Avete avuto occasione di ascoltarlo? Se sì come vi è sembrato?
Beh, è un BELLISSIMO lavoro, come tutti i suoi dischi. Un caro amico, Massimo Volpi, mi ha fatto notare una cosa al riguardo, cioè che Il Grande Freddo in qualche modo è l'ultimo disco di tutta una generazione di cantautori Guccini e Fossati hanno smesso, De Andrè non c'è più, certo ci sono altri come De Gregori, Bennato o Finardi ma ultimamente sono abbastanza lontani da quell'urgenza poetica che li ha caratterizzati come una scena e una stagione magnifica della canzone italiana. Lolli da questo punto di vista è cambiato ma è rimasto sempre lo stesso, uno degli Invincibili. Aggiungo con una nota di presunzione e di vanto che ci sono anche io in questo disco visto che il testo di Sai Come'è è di Claudio ma la musica è la mia. Una canzone d'amore scritta in memoria di Giovanni Pesce e Onorina Brambilla. La scrivemmo insieme per lo spettacolo teatrale di Daniele Biacchessi, Giovanni e Nori, una storia d'amore e Resistenza. Uno spettacolo al quale abbiamo partecipato, io e Sandro con Gaetano Liguori al piano, Giulio Peranzoni e ovviamente Daniele Biacchessi