Modern Times si costruisce su tre brani veloci e coinvolgenti. E tutte e tre vivono su quel beat di sottofondo che quando l’ascolti ti sembra di essere lanciato sulla Route 66 con la tua Chevrolet decappottabile e con il vento che ti scompiglia i capelli. Il classic sound anni ’90 made in California però si modernizza, si arricchisce di vorticosi spirali elettroniche e pop. Le atmosfere da Orange County si mescolano a batterie minimali e delay e il suono è coinvolgente, elegante, fresh.
Fin qui, niente di nuovo. Se ci fermassimo all’aspetto tecnico e ai suoni, “Modern Times” parrebbe un album come altri, un inno già ascoltato alla canzone d’amore con brani concatenati senza soluzione di continuità.
E invece a ribaltare le cose sono i testi. Che spiazzano chi, dando retta solo all’orecchio, si era già immaginato la carezza nostalgica alla cartolina sbiadita di un amore ormai perduto. Senza dare dunque ascolto a tutto il resto. È proprio nei testi che Ed ritrova la sua continuità. Ogni bramo è una riflessione di un giovane che ha saputo cambiare aria - ha vissuto in America, guarda un po’ - e che è maturato più in fretta di altri trovando le sue risposte. Che possono essere anche le nostre.
Così in “The color I Want” Ed si chiede, come ogni giovane, se è stato un bene tornare indietro, “come back". Che si riferisca all’amore, al lavoro, alla vita, a qualunque cosa stia pensando, Ed risponde in maniera matura: non sono le scelte che ci guidano, ma siamo noi a fare le scelte e anche noi, come lui, dobbiamo essere consapevoli che “per me faccio ciò che voglio io” perché “I cover my days with the color I want”. È una conversazione in crescendo che si svolge tra se stessi, tra suoni alla Red Hot Chili Peppers, e che si chiude con il tema del cambiamento. In “Whaterver”, alle crisi che nella nostra vita ci inseguono, la risposta, anche qui, vale più di mille parole: Whaterver, chi se ne importa. O come direbbero i Beatles: let it be!