Colapesce Egomostro
2015 - 42 Records
L’Egomostro si alimenta di successo e popolarità (quella effimera e momentanea si intende) ed uccide poco a poco quell’Io che abbisogna d’altro, di cose semplici e reali, come in un film di Cronemberg nel quale la percezione distorta della realtà è capace di portare il protagonista all’autodistruzione.
Colapesce continua il percorso iniziato tre anni fa ma lo devia, assume vie sempre più tortuose, quello che era il racconto introspettivo di due quasi trentenni laureati in corsa verso l’incerto diventa una zoomata sul mondo e sulle sue bestie, su quella società che crea mostri. Se a detta di Francisco Goya “Il sonno della ragione genera mostri, per Colapesce la causa di questi mostri è riscontrabile nella sete di fama la cui unità di misura è il Like. Con l’Egomostro non puoi che fare a pugni cercando di infilarlo al posto di un galeone in una bottiglia e cercando di impedirgli di prendere il sopravvento, perché è capace di distruggere te, i tuoi rapporti e i tuoi sentimenti, è da qui che riparte Colapesce, con l’invito ad entrare nella bocca della balena o nella bocca dell’Io - come canta lo stesso - con Entra pure.
È con Dopo il diluvio che ci imbattiamo ufficialmente nell’Egomostro, dopo la tempesta di distorsioni iniziale arriva la quiete, ma il sound è sempre pronto a incresparsi. In Reale sembra di udire tra un verso e l’altro Gazzè, è un elegante brano pop impreziosito dai fiati di Roberto Santoro e Gaetano Solimando. Tra stelle e fantasmi un essenziale chitarra accompagna Sottocoperta, credo sia l’unica brano in cui si percepisce un collegamento diretto con lo scorso album e ovviamente se ne percepisce la crescita; l’odore di cannella e di gelsomino che trasuda il brano non fa altro che ricordarmi la bella stagione, le calette del litorale siracusano e la macchia mediterranea.
Un po’ dei canadesi Arcade Fire nella title track, per il resto il testo è un “omaggio” al mondo dei social network, a chi si svende e si sveste su Instagram pronto a partorire un nuovo slogan. Quanti di voi ricordano la celeberrima scena del film Dove Vai in vacanza? nella quale un Anna Longhi esausta alla Biennale di Venezia trova ristoro sotto una palma e viene scambiata per un installazione iperrealistica da un simpatico gruppo di visitatori e poi arriva l’Albertone nazionale a ripigliarsela? C’è tanto di questo cult ne Le vacanze intelligenti, c’è la Biennale con i suoi padiglioni, ci sono i perfomers e le consapevolezze personali “non sono un critico/però so valutare/quando sto bene/quando sto male”.
Cosa succede se ripulisci un pezzo scritto in riva al mare (probabilmente a casa Urciullo a Ognina), resta solo il rumore delle onde sugli scogli, un briciolo di noise e la voce di Lorenzo ne L’altra guancia, il testo è qualcosa di meraviglioso: “la vita è solo una manciata di domeniche/nascondo le ore sotto il tavolo”. Ha qualcosa di esoterico e tribale Copperfield, in questo brano è il conterraneo Alfio Antico ed accompagnarlo al tamburo, ed il risultato ha un sapore “etnico” ed è caldo come il Mediterraneo ed i paesi che vi si affacciano.
Egomostro è abitato da artisti e artistoidi, da illusionisti e paragnosti; c’è pure l’astrologo protagonista del giovedì dell’Internazionale (manca solo il Divino Otelma): Brezsny sembra quasi una burla, pezzo leggero e goliardico; cambio di atmosfera per Sold out, c’è l’ansia del futuro, i progetti che svaniscono, il riso al curry che non basta più, e quel biglietto per il Primaverasound prenotato con largo anticipo.
Nell’Egomostro c’è il fantoccio dell’Italia travestito da Maledetti italiani, una lenta ballata che risuona come il lento passo verso il baratro, verso il declino già affrontato nel precedente lavoro, in un clima di incertezze e di sconforto l’Italietta ha il vizietto di riesumare personaggi deceduti appartenenti all’epoca del “paese di santi poeti e navigatori” e così tra personaggi illustri ed altri insulsi si consuma la tragedia.
Passami il pane è un loop, un gomitolo senza capo, il peso asfissiante della routine; Mai vista è sorprendente, quello che sembra il pacato approccio cantautorale alla canzone si tramuta in una virata trip hop.
Egomostro è una visita al museo, è un enorme Centre Pompidou, fatto di cavi, tralicci e tubature, è un groviglio di esperienze passate e di sovrastrutture, è una sorta di cantiere dell’Io, sembra una trappola, ma non lo è poiché le chiavi le abbiamo noi. È giunta l’ora di chiusura, è tempo d’abbandonare l’edificio e con Esci pure che ci ritroviamo sull’uscio, lo stesso dal quale eravamo entrati.