Bruce Springsteen & The E Street Band Live in Milano - Stadio Meazza - San Siro 2013
2013 - Bootleg
#Bruce Springsteen & The E Street Band#Rock Internazionale#Rock
BRUCE SPRINGSTEEN E SAN SIRO 2013: RIPORTANDO TUTTO A CASA
Bruce Springsteen, Stadio Giuseppe Meazza San Siro - Milano - Italia 2013-06-03 - total lenght 3:26:58.
ALL ABOARD
Land of Hope and Dreams
My Love Will Not Let You Down
Out in the Street
American Land
Long Tall Sally (Little Richard cover) (Tour Premiere, Sign Request)
Loose Ends (Sign Request)
Wrecking Ball
Death to My Hometown
Atlantic City
The River
Il catino di ferro e cemento è pronto da ore. Sono tutti a bordo. La folla è un caleidoscopio. Fuori dal catino, sono giovani, anziani, donne, uomini, operai, precari, studenti, disoccupati, professionisti, impiegati. Ma qui dentro formano un unico corpo, che respira all’unisono lo stesso clima, di attesa, speranza, energia e sogni. Quando Springsteen entra con la leggendaria E Street Band e il suo colorato seguito musicale, lo stadio esplode in un unico boato, e i tre anelli parlano, letteralmente. Dicono OUR LOVE IS REAL, e, più sotto, timidamente, NYCS (la richiesta per una New York City Serenade, che però non viene né letta, né eseguita). Little Steven si avvicina all’amico di una vita, e insieme, increduli, stupiti, ammirati, infine entusiasti, decifrano la scritta, che migliaia di mani stanno componendo con migliaia di fogli bianchi, rossi e verdi, mentre tutto il pit saluta il gruppo con bandiere italiane, mai sventolate con tanta convinzione. Perché qui siamo a San Siro, Milano, Italia, il Tempio Numero Uno del Rito Rock più coinvolgente, catartico e intenso che sia mai stato concepito negli ultimi trent’anni. Springsteen lo sa bene: è la quinta volta che entra nel catino, da quel lontano 1985, che cambiò la vita a migliaia di giovani, fino allo scorso anno, quando, con la ferita recente per la perdita di Clarence Clemons, lo stadio gli aveva reso omaggio con uno degli applausi più lunghi della storia, durante Tenth Avenue Freeze Out.
Springsteen lo sa: e sa che San Siro è finalmente pronto per un altro rito, impregnato di amore e fede. Lo dice subito: TI AMO SAN SIROOOO! TI AMO MILANO!! TI AMO ITALIA!!, e Land of Hope and Dreams chiarisce le idee anche ai più confusi: questo non sarà un concerto. Questo sarà una dichiarazione d’amore. Sconfinata. Intensa. Sincera fino a fare male. Amore per tutti, santi e peccatori, vincenti e perdenti. Amore per la musica, per il pubblico, per la vita, costi quel che costi. In My love will not let you down, lo ribadisce con forza, e così conduce San Siro in un dialogo intimo, coinvolgente fin dalle prime battute. I pezzi seguono un filo logico e musicale profondo: parlano di sofferenze e riscatto, di amicizia e separazione, di gioia e dolore. Di vita, appunto. E, quando Springsteen piazza l’uno – due Atlantic City – The river, amare e struggenti storie di sconfitti e resistenti, San Siro è ormai conquistato, di nuovo, per la quinta volta.
Born in the U.S.A. (but in San Siro, too)
Born in the U.S.A.
Cover Me
Darlington County
Working on the Highway
Downbound Train
I'm on Fire
No Surrender
Bobby Jean
I'm Goin' Down
Glory Days
Dancing in the Dark
My Hometown
“Il primo concerto qui era Born in the U.S.A. Questa notte, in onore di questi stupendi concerti, suoneremo tutte le canzoni dell’album…” Ha il volto felice, Springsteen, mentre introduce il motivo dell’esecuzione integrale dell’album il cui tour lo portò per la prima volta in Italia. Il volto di chi sa di fare un regalo gradito, ma anche di chi vuole dare un senso alla scelta. Un cerchio perfetto, che chiede solo di essere completato questa sera, e canzoni che chiedono di essere pensate, visitate, amate di nuovo, nella loro bruciante attualità. Così, l’assolo di Weinberg alla batteria su Born in the U.S.A. rivaleggia con quello alla chitarra di Hendrix a Woodstock, evocando il dramma del Vietnam, che ferisce ancora i ricordi di tanti americani, e insieme parlando ai cuori di quanti ripudiano la guerra, con i suoi inevitabili strascichi di sconfitte e dolore. E la chitarra di Lofgren infiamma Cover me, restituendole il senso di un amore come unica strada per il riscatto: The times are tough now/ just getting tougher/ this old world is rough/ it’s just getting rougher/ cover me….
Storie di un mondo di sofferenti, poeti e lavoratori, che devono tornare a prendersi cura della loro Hometown, lottando per un lavoro dignitoso, amando senza rimpianti il loro passato, per vivere senza amarezze il presente. Siamo tutti nati in questi Stati Uniti della Vita, stanotte. La crisi, il dolore, le delusioni del mondo fuori sono fuori, appunto. Springsteen stanotte non sta cercando di farcele dimenticare. Sta provando a consolarci per la loro esistenza. E lo fa con una generosità immensa, dandosi completamente, lasciandosi toccare, stringere, tirare, baciare, lui, solo, in mezzo a tutto uno stadio. Quando, su Dancing in the dark, fa salire sul palco ragazzi, ragazze, nonne, nipoti, tutti capiscono che in loro si incarna l’intero corpo di San Siro, che, per stanotte, accoglie l’invito: you can’t start a fire/ worrying about your little world falling apart. Il fuoco è acceso, la serata decolla definitivamente.
IL DELIRIO E IL SALUTO
Shackled and Drawn
Waitin' on a Sunny Day
The Rising
Badlands
Hungry Heart
We Are Alive (with 'This Land Is Your Land' intro)
Born to Run
Tenth Avenue Freeze-Out
Twist and Shout
Shout (The Isley Brothers)
Thunder Road (solo acoustic)
E’ festa, ormai. L’amarezza è stata vinta. Adesso c’è posto per la gioia, la liberazione dalla paura, dall’ansia, dalla morte. Adesso tutta la band segue lo sciamano nel suo rito propiziatorio, e lui dirige l’intera orchestra dei sessantamila più quattordici: perché ormai non c’è più differenza né distanza fra su e giù dal palco, e tutti respirano ballano cantano gridano saltano danno il meglio di loro, esorcizzando il dolore senza mai dimenticarlo un momento. This land is your land solo chitarra, che lascia il posto a una sfolgorante We are alive è il messaggio: la morte esiste, perché è parte della vita; la terra che calpestiamo fa riposare i corpi di chi abbiamo amato (e i visi di Federici e Clemons proiettati su Tenth Avenue Freeze out lo dimostrano), ma questa terra è la nostra, e su questa crosta di terra, finché siamo vivi, dobbiamo fare vivere anche loro. San Siro grida, e da questo momento il grido si fa più energico, chiaro, diretto: tanto che Shout! è il brano che Springsteen sceglie per chiudere la festa: una cover che fa diventare lo stadio un Animal House Party, con il pubblico che si sdraia a terra e poi si rialza, sotto la guida del suo Maestro di cerimonie, divertito, madido di sudore, irrimediabilmente vivo.
Ma il Rito non si può concludere senza l’amen finale, l’inno di un’intera generazione, il saluto di un artista e un uomo ai suoi amici di una vita. Stavolta Springsteen sceglie di suonarlo in modo che ciascuno si senta coinvolto direttamente, integralmente, corpo e anima: ed ecco una Thunder road minimale e totalizzante insieme, chitarra e voci (la sua, e la nostra), storta, perfetta nella sua imprecisione, emozionata, emozionante. Il maxischermo inquadra volti bagnati di lacrime, occhi illuminati di vita; e in quegli occhi, in quei volti si specchiano quelli di tutto San Siro, ma anche quelli di Springsteen, che, in inglese, saluta dicendoci: “Siete sempre nel mio cuore”, accompagnando le parole con un gesto ancora più eloquente: la mano sul cuore, e un bacio. Un addio a San Siro? Un arrivederci? Nessuno lo può sapere. Ma, mentre lo stadio si svuota lentamente, passa sui maxischermi un commuovente video sulle Cinque volte San Siro, con cui Claudio Trotta, da manager innamorato del suo artista, dice, anche a nome di tutti, GRAZIE BRUCE. Le emozioni tumultuano nei cuori, lasciando una traccia che, nel passo del tempo, non si cancellerà.