live report
Bruce Springsteen & The E Street Band Stadio Meazza - San Siro - Milano
Concerto del 03/07/2016
#Bruce Springsteen & The E Street Band#Rock Internazionale#Songwriting
L'attesa inizia mesi prima. Torna in Europa Springsteen con la E Street Band per il “The River Tour”, ma non in Italia. No, viene in Italia, ma a Imola. No, a Roma. No, anche a Milano, il 3 luglio. Ma anche il 5. E i biglietti? I prezzi? Proibitivi per molti. No, stavolta passo. Io invece risparmio altrove, e ci vado. Anche solo al terzo anello, ma voglio esserci. Ah no, là sopra si sente da schifo. Ma si sente male ovunque a San Siro. Demolirlo è meglio. Già, ma intanto c'è, e ci dobbiamo andare.
Partono i ragazzi di "Our love is real" col crowdfunding. Più di 8000 euro raccolti, per una coreografia che investa tutto lo stadio.
Intanto, il tour in Europa cambia faccia. Sempre meno i brani da The River, sempre più circo - juke box. Però, San Siro è San Siro, che di per sé sarebbe lapalissiano, ma chi ha vissuto un concerto di Springsteen a San Siro sa cosa significhi.
3 luglio.
Poi, l'attesa finisce. E ci inerpichiamo sugli spalti del terzo anello centrale, di fronte al palco. Oltre il catino di cemento e acciaio, vista su Madonnina e skyline di Milano. Alle spalle, il sole tramonta. Il rito laico più atteso può iniziare.
E capiamo che l'attesa, a volte, non è meglio della festa. Scusaci, sai, Leopardi.
Perché l'espressione di Springsteen, quando scopre che tutto lo stadio lo saluta con l'enorme scritta DREAMS ARE ALIVE TONITE, è festa. E festa è il suo invito a salire sul treno che trasporta vincitori e perdenti, santi e peccatori.
Non c'è Patti, non ci sono i fiati. Solo la E Street Band, o meglio, quello che ne resta. Un manipolo di reduci, di amici che sfidano il tempo, rammendando gli strappi del cuore con l'energia della musica.
Dall'alto, lo sguardo è netto. La fossa del pit ruggisce di amore. Il prato ondeggia e balla. Ma la marea di emozioni è tanto potente che raggiunge il terzo anello, e travolge anche noi, puntini di un disegno più grande. Le mani si alzano al cielo fin nell'ultimo ordine di posti, e il silenzio si fa quasi palpabile su brani intimi come Point blank o sull'inciso intenso di Drive all night.
Springsteen è in stato di grazia. Inanella una perla dopo l'altra, regalando a Milano la sua prima Jungleland, mentre il nostro sguardo spazia dal palco allo scenario milanese oltre lo stadio, che si accende di luci, riflesso di quelle dentro San Siro, e i brividi che sentiamo non sono solo per il vento che inizia a soffiare, durante l'assolo di sax.
È una storia d'amore che dura dall'85. E non accenna a smettere. Inossidabile al tempo, ai cambiamenti attesi e mai avvenuti, a quelli imposti dalla vita, alla routine, alle inevitabili critiche. Dall'alto, vediamo i corpi di settantamila persone protendersi verso il palco, e sentirsi accolti da un uomo che non sa rinunciare a darsi al proprio pubblico, col corpo e con la voce, sfoderando non solo la consueta e un po’ gigionesca esibizione da maratoneta e il sano e sincero divertimento nel lasciarsi coinvolgere dalla festa, ma soprattutto un’intensità interpretativa che lascia attoniti, e che fa presagire un futuro forse meno muscolare ed atletico, ma più meditativo e ancora più emozionante.
Quando la festa di Shout! si conclude, la E Street Band saluta e le luci si spengono, l'uomo si concede un'altra volta. Ci chiama The best audience in the world. E ci regala la Thunder road più lenta, struggente e commuovente mai sentita. Fino al terzo anello, San Siro ammutolisce, ed esprime qualcosa di simile a una preghiera. Maybe we ain't that young anymore. But show a little faith, there's magic in the night...l'uomo è stanco, ora, quasi turbato. Il discorso non si interrompe con stasera, ne siamo tutti certi. È tempo di lasciarlo riposare, di ridiscendere dal terzo anello e tornare a toccare la terra.
E c'è chi dice "ci sono ancora biglietti per martedì? "...
5 luglio.
Dicevamo, biglietti per martedì?
Sì, ce ne sono. Ma stavolta è il prato a svelare il suo volto. Facce scavate dal tempo, genitori e figli insieme, passeggini con bambini e tappi alle orecchie, gruppi di ragazzi birramuniti, presenzialisti, curiosi. Oltre le transenne, il pit, sempre diverso e sempre uguale a se stesso, con regole e dinamiche a codice criptato.
Esserci, dopo domenica, è importante. In molti sentono che il discorso continuerà stasera, che le due date formano un unico, grande caleidoscopio, multicolore e sfaccettato. L'energia trasmessa domenica non si disperde, anzi, alimenta altra energia, in uno scambio che sfida le leggi elementari della fisica.
Anche lo spazio e il tempo, del resto, sono messi a dura prova. Springsteen è insieme qui e altrove, in questo San Siro e in quello dell' 85, ed è insieme giovane e vecchio, uomo e donna, saggio e incosciente. Per questo riesce ad intercettare la sensibilità di tutti e di ciascuno, a parlare al cuore di tante persone, come se fosse solo con ognuno di noi. Guardandoci attorno, vediamo solo sorrisi, corpi che vibrano, mani che si agitano, bocche che cantano. Ed è la vita di ciascuno che viene raccontata, stasera. La città, lo spirito della notte, le strade di fuoco, i sogni, la fede-fiducia-fedeltà, triade onnipresente nelle storie di Springsteen, e stasera messa in scena in un modo tanto diretto da fare quasi male: sentire pulsare il cuore di Milano sotto i propri piedi, mentre dal palco viene lanciato l'urlo di Something in the night, o di Prove it all night, o di Meet me in the city, contagia la folla, che risponde con un entusiasmo spiritato.
Springsteen, assecondato da una E Street Band mai tanto a fuoco, con una sezione ritmica implacabile, il fuoriclasse Nils Lofgren e un concentratissimo Little Steven, mette, nell'immenso frullatore milanese, la sensualità di Fire, l'allegria senza tempo di Rosalita, il riscatto di un'incredibile The price you pay, la rabbia di Roulette, l'invito a seguirlo sulle strade di Racing in the streets, dalla monumentale coda pianistica di Roy Bittan. Ma anche il rimpianto e lo struggimento di The river, mentre sugli spalti le luci delle torce illuminano una dichiarazione di amore per la ESB.
E l’uomo riesce a zittire tutto lo stadio al quinto minuto di Backstreets: sussurra "we swore forever friends…I just wanna see you smile… until the end..." e sembra non voler più smettere, quasi a voler fermare il tempo, a sancire un patto col pubblico, che vada oltre il tempo, lo spazio, fino alla fine, in un momento che smette di essere canzone, e si fa confessione, dichiarazione di amicizia, fede e fedeltà, il nastro di una vita riavvolto in pochi minuti.
Che ci sia something in this night, è chiarissimo. Qualcosa di definitivo e solenne, che in molti colgono. Gli occhi si inumidiscono, e la festa finale delle Seven nights to rock di San Siro si stempera in un saluto commosso, chitarra voce armonica, This hard land. Springsteen è indifeso, adesso. Un uomo che ha attraversato le tempeste dell’esistenza, e approda al porto della vita. Stay hard, stay hungry, stay alive, if you can...and meet me...no, non più in the city tonight, ma in a dream. La terra continua a essere dura, là fuori. L'utopia del rock and roll non è riuscita a cambiarla. Non resta che rifugiarci nei valori in cui crediamo: l'amicizia, la fiducia, la musica. E Springsteen indugia sul palco, chitarra sollevata, in segno non più di lotta, ma di resa, un saluto lunghissimo e un grazie al suo pubblico.
Per noi, che lentamente usciamo dal prato, l'ultimo sguardo è a questo catino di cemento e acciaio: abbiamo vissuto una realtà pericolosamente simile a un sogno. Ora, la sfida è trasformare i sogni in realtà.