Disco splendido, difficile e coraggioso. Disco da 5 stelle su 5 con fuochi d’artificio e, ancora di più che con il duo Raducano /Ribot da me recensito entusiasticamente un paio di mesi fa, assolutamente un disco per chi non si accontenta. Per chi non vuole appigli e sicurezze se non quelle dell’improvvisazione lavorata e ricostruita; dell’apparente non forma che non vuole dire non forma in assoluto ma nuova costruzione; vuole dire una voce capace di fare cose impossibili e bellissime con una “batteria” capace di seguirla e dialogare sempre! Anche quando la posta in gioco è altissima.Nella voce della Demuru emerge un livello di sardità incredibile (e quanto questa terra ci ha dato in questi anni sotto questa veste) che va molto al di là dei versi cantati in sardo. È una derivazione fonica, nell’uso delle accentazioni e delle vocali oltre che nella pura vocalità.
Ma la cantante sembra padroneggiare qualsiasi tipo di vocalità, da quella teatrale, come in La Porta Marnie o in Volere è Potere 2, a quella rumoristico/improvvisativa come nell’incredibile Spazio Profondo: Sotto la Calotta/Meduse´s Musical.Anche quando il brano prende spunto da testi in sardo, come nella travolgente Nanneddu Meu, il tutto è anche spunto intenzionale per un’intro di suoni di “fiato” che diventano percussioni basse e canto e ritornano, nel finale, per un’improvvisazione sui suoni lunghi della voce contrapposti a un pecussionismo quasi tribale. Dinghiriana parte africana e si trasforma nel dolce canto di qualche sconosciuta tribù sarda centroafricana! Impressionante è anche la bravura di Cristiano Calcagnile che sembra avere la capacità di fare da collante sia all’interno del singolo brano che nel complesso del disco.
Si vede sempre, in questo Blastula, un “raccontare” che non diventa mai stereotipo, se non intenzionalmente, e che va a prendere tutto il disco con spunti che si ripresentano più volte come dei personaggi di una pièce teatrale in cui probabilmente non è assente un richiamo anche “politico”. In questo senso va, forse, il ritornare della strofa finale di el me gat del grande Ivan Della Mea (l’è la giustisia che’l me da tort, Ninetta è viva ma el gat l’è mort) e di altre frasi lapidarie che percorrono tutto il disco che sono ribadite nel bellissimo penultimo brano Sa Calarina E Le Mosche Sugli Occhi.Bisognerebbe sempre riconoscere lo sforzo di chi rischia; bisognerebbe sostenere sempre chi rischia e centra in maniera così alta l’obiettivo…e nel profondo una regola.