Andrea Van Cleef Sundog
2012 - Great Machine Pistola
Andrea Van Cleef, al secolo Andrea Bellicini, è un artista di Brescia attivo dalla fine degli ani ’90 con la band garage-punk dei Bogartz per poi fondare i Van Cleef Continental, dei quali ricordiamo il felicissimo esordio Red Sisters (2009) al quale la testata dette il dovuto risalto.
In attesa del successivo lavoro del gruppo (che pare avere tempi di gestazioni simili a quelli di un cucciolo di elefante!) Andrea si propone in veste solista e prevalentemente acustica con questo lavoro pubblicato solo su vinile; scelta che pare essere stata dettata dall’intenzione di perseguire una qualità di prodotto a tutto tondo, a partire dal tipo di edizione appunto.
Andrea canta, suona basso, chitarra, tastiere, percussioni e loops ma, cosa più importante, compone tutti i brani nei quali è accompagnato da Elena Lady Cortéz alle tastiere, Simone Boffa alle chitarre, Beppe Facchetti alle percussioni e Marco Grompi come ospite alle voci in The clinging song.
Un assetto di line up essenziale così come lo è l’arte espressa da Andrea, poco incline a disegnare strutture complesse ed aperte ai virtuosismi ma orientata alle immagini, alle sfumature, alle impressioni dei timbri ed al retrogusto di lunga permanenza.
Questa prima caratteristica del disco conferma un approccio già presente nelle trame elettriche dei Van Cleef (su disco), che qui risalta maggiormente grazie al prevalere della strumentazione acustica utilizzata con parsimonia ma anche con tensione; ne sono un esempio i numerosi “follow-through” strumentali in chiusura dei brani che, invece di concludersi con una cadenza rapida dopo il canto, si dilatano su frasi scheletriche strumentali così come accade ad un arciere che, stando fermo, accompagna con lo sguardo la freccia scoccata. Tra i tanti esempi di questo accorgimento ricordiamo la conclusione al piano in A sea song e quella prolungata in The new earth; in tutto i casi l’effetto sostiene il colore visionario e psichedelico delle composizioni.
Qui si innesta un secondo elemento di interesse del lavoro: il suo carattere underground e cupo unito ad una tinta psichedelica appunto: un bridge organico tra influssi della musica anni ’70 con quella indie degli anni ’80 e ’90.
Gli spunti in questo senso sono molti :
- il timbro di Seawater Girl ci ha riportato a certe trame dei Jefferson Starship “space freak” di Blows Against the Empire
- l’arpeggio di apertura di If, inevitabilmente collegato a quello dell’omonimo brano dei Pink Floyd anche per via del canto sussurrato
- l’incrocio tra voce baritonale alla Iggy Pop e la trama ritmica, dettata da chitarra e tastiere, alla Thin White Rope in Shine, con il tratto conclusivo acustic / slide tipico del Kaukonen dell’astronave della west coast
- il richiamo a Mark Lanegan in House by the river
- il giro quasi country sovrapposto all’organo psichedelico alla Doors in The day you tried to kill me
- l’incrocio tra l’acustica anni ’70 di Neil Young e la voce di Jim Morrison quando Andrea pronuncia “What do I konw?”
- il curioso episodio di The clinging song, virata al latin con l’uso (controllato) delle percussioni e di una chitarra parlante alla Santana, anche se su di una semplice frase a 4 note di base
- il grunge espresso con minimalismo low-fi di The new earth
Quanto sopra non vuole essere un richiamo antologico alle influenze di Andrea, che probabilmente sono distinte (ma non così distanti) da quelle citate; l’apprezzamento è verso la ricchezze delle sfumature che, riportate a riferimenti classici al solo scopo di farci capire, danno solidità al lavoro.
Un terzo ineludibile elemento da considerare per valutare appieno l’opera riguarda i testi, tutti rigorosamente in inglese.
I versi sono scarni, sovente piuttosto scuri, visionari, basati su immagini e brevi pennellate di impressioni; tuttavia mai trascendono nel tragico o, meno ancora, nello splatter. Al contrario Andrea gioca molto bene anche con momenti sardonici, con un bonario distacco che in qualche momento, come in If, pare addirittura diventare atarassia.
Ne esce un quadro equilibrato e credibile delle liriche che rispondono ad un proprio modo di essere e non ad una gratuita intenzione di colpire l’ascoltatore .
Troviamo esemplificativi in questo senso i casi di :
- House by the river, dove l’apparente ballata western è accompagnata da testi antiretorici che evocano una gold-rush finita male
- Pesadilla motel, dal titolo inquietante, scenari scuri, immagini implicite ma anche con un certo distacco che non esclude un aiuto ed una speranza
- The day you try to kill me che pare introdurre una murder song ed invece é quasi ironica
In questo lavoro Andrea ha chiarito che sia ad alta che a bassa tensione lui è sempre quello e che ciò che conta è il suo modo di scrivere. Questa sincerità di base fa sì che il disco convinca e che , reggendo bene ascolti ripetuti, permetta di trovarci sempre qualcosa di nuovo.
Vale davvero la pena ritrovare un giradischi per metterci sopra questo padellone a 180 grammi.