Due liceali nella fredda, alienata Seoul d’oggigiorno. Una si prostituisce quasi per gioco (come la Deneuve di bunueliana memoria), e lo fa, forse, semplicemente per sentirsi viva. L’amica del cuore la asseconda, in nome dell’amore che prova per lei. Questo gioco pericoloso le separerà per sempre e lei, rimasta sola, farà di tutto per restare disperatamente attaccata al suo amore che non c’è più, finché il padre, poliziotto, non scopre la terribile verità. E’ una città spietata quella raccontata da Kim Ki-Duk, e le vite sono quasi dei puntini che aspettano solo di essere cancellati; a volte si rimane indifferenti davanti ai sentimenti, e a volte si muore anche per essi, e la rabbia di un padre che non capisce più il mondo si può trasformare in furia omicida, e nonostante questo sembra la cosa più genuina della storia stessa. Il regista coreano,che con quest’opera è stato premiato a Berlino, stavolta stravolge ogni aspettativa e vira verso una sorta di neo-realismo all’orientale, con una crudezza il lui mai vista. Qui la gente cada dai palazzi, viene ammazzata, qui pedofili comprano sesso dalle adolescenti e poi tornano dalla famiglia come niente fosse...isomma, è un mondo spietato quello che Kim Ki-Duk ha deciso di raccontarci nell’occasione. Del resto, della tradizione coreana, del suo misticismo c’è solo un accenno (la visita alla tomba della madre) e della straordinaria poesia vista in Ferro3 non c’è nessuna traccia, per quella bisognerà aspettare il prossimo The Bow (già visto in anteprima a Cannes), che ci leverà sicuramente via le croste rosso-sangue che questo (pregiato) film ci ha inesorabilmente fissato sulla pelle...