Ken Loach The Old Oak
2023 » RECENSIONE | Drammatico
Con n Dave Turner, Ebla Mari, Claire Rodgerson, Trevor Fox, Chris McGlade
20/11/2023 di Roberto Codini
«Questa macchina mi ha salvato la vita. Perché ho visto cose che non vorrei aver visto, non ho le parole per descriverle. Ma quando guardo attraverso l'obbiettivo, scelgo di vedere la speranza e la forza. Scelgo come vivere con questa macchina.»
Yara (Ebla Mari, bravissima e intensa) è una fotografa, ha vent'anni, è dovuta fuggire con la sua famiglia, vivendo in un campo profughi. Ignora il destino del padre, probabilmente imprigionato in Siria. Ignora che futuro l'aspetta...ma sa che vuole costruirlo con coraggio, insieme alle persone che incontra.
“The Old Oak” è un posto speciale, è l’ultimo pub rimasto e anche l’unico luogo pubblico in cui la gente può incontrarsi in quella che un tempo era una fiorente località mineraria e che oggi attraversa un momento difficile.
Il proprietario del pub, T.J. Ballantyne (Dave Turner, straordinario) riesce a mantenerlo a fatica e la situazione si fa ancora più precaria quando The Old Oak diventa un territorio conteso dopo l’arrivo dei rifugiati siriani trasferiti nel villaggio. T.J. stringe amicizia con Yara.
L’ultimo film di Ken Loach, 87 anni (è forse il suo ultimo?) è meraviglioso, una storia di amicizia, comunità, uguaglianza nelle differenze e nonostante le differenze, nella quale i temi cari al regista (democrazia, inclusione, diritti degli ultimi) convivono con una concreta e dichiarata speranza di un mondo migliore, con un insolito e sorprendente finale e nel quale non manca nemmeno un elemento assolutamente nuovo nel suo cinema, la spiritualità, il senso del metafisico.
T.J. è un uomo buono e coraggioso, un personaggio che difficilmente potremo dimenticare, anche grazie alla straordinaria interpretazione di Turner, attore non professionista, che riuscirà a instaurare un legame con gli ospiti del villaggio, nonostante le ostilità e le resistenze di una parte della comunità, i rappresentanti di quella società che Loach ha saputo descrivere senza retorica e senza ipocrisia in capolavori come “Riff Raff” o “Piovono pietre”.
Qui non c’è, o meglio non c’è solo, la classe operaia, che va in Paradiso, ma serve sulla terra; c’è l’umanità vera, quella composta da donne e da uomini capaci di una serena convivenza e di una felice condivisione, a partire dalla tavola. “Chi mangia insieme sta bene insieme” è una delle citazioni che racchiudono il senso del film, che vede spesso riuniti a tavola gli abitanti del villaggio e i profughi siriani in fuga dalla guerra.
T.J. ha una cagnetta bellissima, Marra, che gli salvò la vita e che sarà protagonista di un episodio triste e significativo, ma nonostante il quale non smarrirà la speranza di quel mondo migliore nel quale Loach ha da sempre creduto. T.J. infatti racconta a Yara un episodio della sua vita, quando aveva deciso di farla finita e per questo era andato in spiaggia, pronto a perdersi nei flutti del mare, quando improvvisamente una dolcissima cagnolina, Marra appunto, gli era corsa incontro, restituendogli la voglia di vivere.
La scena della spiaggia (che si ripeterà in un altro momento del film, che non possiamo svelare) fa venire in mente un altro capolavoro, “Il sapore della ciliegia” del compianto maestro iraniano Abbas Kiarostami (Vedi recensione qui), con il quale aveva lavorato in un film a episodi, “Tickets” (con le regie di Kiarostami, Loach e Ermanno Olmi).
Nel bellissimo film di Kiarostami, il protagonista, signor Badì, deciso a farla finita e mentre guida per le strade montuose dell’Iran, cerca qualcuno disposto a scavargli la fossa, fino a quando si imbatte in un tassidermista del Museo di Scienze Naturali, il signor Bagherì, che gli racconterà un episodio simile, quando era salito su un albero per impiccarsi, ma improvvisamente gli era caduto tra le mani un gelso, e il suo sapore lo aveva fatto desistere dal tragico proposito. “E tu? Non vuoi più sentire il sapore del gelso?” (Il sapore della ciliegia era inizialmente Il sapore del gelso).
Come nel film di Kiarostami, anche in “The Old Oak” c’è un evento che riporta alla vita, una creatura (questa volta un animale) che ricorda, a chi si era stancato di vivere, che invece vale sempre la pena vivere. Così come vale la pena lottare e non perdere la speranza di un mondo migliore.
La sfilata finale, bella e sontuosa come quella de “”Il Sol dell’avvenire” di Nanni Moretti, in un contesto completamente diverso, ma con lo stesso ritrovato entusiasmo, è il magnifico epilogo di una storia e di un cinema indimenticabili e necessari.
Il cinema di Ken Loach è il cinema degli ultimi, che non saranno i primi, ma lo sono già nel presente, i protagonisti di quel mondo che è l’unico per cui Ken il Rosso ritiene valga la pena girare un film. Grazie, Maestro. Grazie ancora.