Quando si aspetta l’opera di quello che si crede essere uno dei pochi veri artisti fra i registi contemporanei, il tempo si fa lento. E ancora più lento lo è stato nell’aspettare che Jarmusch si facesse vedere dopo il suo film più lontano dall'ormai lontano (e atipico) Ghost Dog, del 1999. Quattro anni, quasi cinque, ci dividono dall’ultima sua opera, sono stati anni durante i quali nessun autore ha anche solo marginalmente fatto cenno di colmare il “vuoto” (temporaneo, per fortuna) lasciato da lui. L’unico deputato a farlo sarebbe potuto essere il suo allievo Di Cillo, peccato che i suoi film non passino nemmeno per un giorno nelle sale italiane (e, immaginiamo, europee), oltre a lui, di talenti con il gusto del “faccio come voglio fare andando per la mia strada”, non se ne vedono quasi mai e, se ci sono, sono artisti come Vincent Gallo i cui film transitano nei festival per poi vedersi negati i grandi schermi. Il tutto è molto deprimente, perché noi abbiamo bisogno del cinema indipendente americano, linfa vitale del cinema mondiale. Se da una parte ci sono i fratelli Coen che girano però dalle parti di Hollywood, dall’altra rimane solo lui, Jim, e adesso ritorna con un progetto che non è un film vero e proprio, ma una serie di scatches di sapore quasi letterario. In realtà il progetto di Coffee & Cigarettes è nato tanti anni fa, epoca in cui risale il primo dei 10 cortometraggi, quello con il fedelissimo Benigni, piccolo gioiello cinematografico di surrealismo dei dialoghi. Negli anni Jarmusch è andato maturando il progetto di girare diverse “scenette” con un unico comun denominatore formato dall’accoppiata sigarette+caffè. E così è stato fatto, partendo dalla prima esperienza con Benigni nell’86, fino agli ultimi episodi risalenti a una manciata di mesi or sono. Alcune di queste storie sembrano improvvisate, con dialoghi non-sense (classico di Jarmusch) e surrealisti (classico di Benigni), altre invece fanno perno su un pretesto, spesso banale, per sviluppare un breve scambio di stile fra due o tre attori. Per mettere assieme questo curioso collage il regista americano si è rivolto a dei nomi di primissimo piano, alcuni appartenenti all’ambiente del cinema-bene (Cate Blanchett e Bill Murray, straordinari), altri non-allineati (Alfred Molina) e vere e proprie icone del pop contemporaneo (Iggy Pop e il fido Tom Waits). Da sottolineare anche la presenza dell’immancabile Steve Buscemi, perfetto come sempre, e di Meg & Jack degli White Stripes. Un solo peccato: non aver trovato dei personaggi che sarebbero stati a loro agio in questi filmati, per il cinema ci vengono in mente Harvey Keitel e Johnny Deep e per la musica John Lourie e Nick Cave.
Jarmusch con questo gustosissimo film, che scorre via leggero e piacevole, ha giocato, e si è divertito a farlo; è stato così bello ritrovare un autore più vicino ai suoi primi straordinari film (Mystery train, Dawn by low, Stranger than Paradise) e più lontano dagli esperimenti successivi (Dead Man) che, guarda a caso, hanno avuto molto più successo. Il tutto aspettando un vero e proprio film del regista dell’Ohio, perché se quattro anni senza vedere una sua opera sul grande schermo sono stati tanti, non sarebbe sopportabile aspettare ancora molto per vedere una pellicola che rivitalizzi la scena “indipendente” sempre più minacciata di essere inglobata da Hollywood. Lunga vita a Jarmusch e al suo cinema in bianco e nero fatto di dialoghi, sporcizia, bar, personaggi strani, caffè e…sigarette!