Paradise right here<small></small>
Americana • Songwriting

Willie Sugarcapps Paradise right here

2016 - Baldwin County Public Records

13/06/2016 di Andrea Furlan

#Willie Sugarcapps#Americana#Songwriting #Grayson Capps #Will Kimbrough #Anthony Crawford #Savana Lee #Sugarcane Jane #Corky Hughes #Fame Studios #Muscle Shoals

Frog Pond è un palco all’aperto nel retro di una fattoria a Silverhill, Alabama, dove, ispirate dalla famosa serie di concerti Midnight Rambles organizzati da Levon Helm, hanno luogo lunghe jam informali all’ombra di un cedro secolare. Qui i musicisti godono di un’atmosfera rilassata e amichevole a stretto contatto con il pubblico che ha creato una piccola comunità di attenti e appassionati ascoltatori. Si può dire che i Willie Sugacapps siano nati qui, complice la magia di una domenica pomeriggio quando cinque veterani di lungo corso si sono incontrati e riconosciuti nello stesso amore per la musica genuinamente ancorata alla propria terra e alle proprie origini. Seduti in circolo e imbracciati gli strumenti, fra loro è immediatamente scoccata quella scintilla che, in maniera del tutto spontanea, avrebbe stabilito l’intesa straordinaria da cui è sbocciato questo collettivo di cantautori. Will Kimbrough, Anthony Crawford e Savana Lee (il duo conosciuto come Sugarcane Jane), Grayson Capps e Corky Hughes hanno così deciso di unire le forze e dare vita ad uno dei progetti più interessanti degli ultimi anni. Ciascuno di loro ha alle spalle una lunga e importante carriera individuale che li ha portati a scrivere, registrare e andare in tour con personaggi del calibro di Jimmy Buffett, Emmylou Harris, Neil Young, Kate Campbell, Dwight Yoakam e Steve Winwood (tanto per fare un brevissimo accenno al loro corposo curriculum): collaborazioni importanti ed esperienza da vendere culminate nel primo omonimo album del 2013 che si è giustamente meritato il riconoscimento di “Americana Album Of The Year” dalla Independent Music Association. Esordio in grande stile, registrato in presa diretta a casa della Lee, il disco conserva la freschezza delle opere prime nate dall’esigenza di esprimersi con immediatezza, lasciando che sia il libero fluire dell’ispirazione a coagularsi in un instant record assolutamente godibile, scevro da inutili sovrastrutture che lo avrebbero inutilmente appesantito.

Nati e cresciuti nel profondo sud degli States, tra il golfo dell’Alabama e le vicine Nashville e New Orleans, da sempre linfa vitale e principali affluenti del grande fiume della musica americana, i Willie Sugarcapps riflettono nelle loro composizioni quella particolarissima atmosfera che agli elementi canonici della roots music coniuga l’effervescenza di una terra speciale e amalgama blues, folk, country e soul in una ricetta originale e speziata.

Paradise right here è il secondo entusiasmante capitolo del gruppo che alza la posta e rilancia, confezionando undici gioiellini acustici dal taglio decisamente accattivante e raffinato. Registrato in soli tre giorni nei celeberrimi Fame Studios a Muscle Shoals, conserva intatta tutta la freschezza conosciuta all’esordio e ribadisce l’assoluta bontà della proposta il cui punto di forza è da individuarsi nell’indiscutibile talento compositivo di Kimbrough, Capps e Crawford, gli autori dei brani, così come nella pregevole tecnica strumentale di cui sono dotati (compreso Huges) che permette loro di passare agevolmente da uno strumento all’altro e sfruttare il ricco campionario rootsy di chitarre, mandolini, banjo, lap steel e resonator. Ciò detto, quello che affascina è la bellezza delle armonie vocali che si sviluppano deliziosamente e mettono in risalto di volta in volta la voce dolce e cristallina della Lee, quella tenorile di Kimbrough, il tono basso e baritonale di Capps, quello graffiante di Crawford.

Spiccano nel comunque ottimo livello generale due meravigliose ballate di Grayson Capps: la struggente, corale, Mancil Travis, dove con piglio da consumato storyteller tratteggia la figura solitaria di un vagabondo sconosciuto e il suo vezzo di indossare nel risvolto della giacca consunta un garofano bianco, forse in ricordo di eventi passati e di una donna misteriosamente scomparsa, e May we love, attenta riflessione sul potere dell’amore e della condivisione dei sentimenti, uniche armi a nostra disposizione per vivere in piena empatia con il mondo che ci circonda. La title track Paradise right here, lasciata in chiusura per chiudere in bellezza con il pezzo migliore dell’album, incanta lungo sette minuti di pura magia da addebitare a Will Kimbrough, che rimanda alla stagione dei migliori Crosby Stills & Nash, e Rosemary and time del solito Capps, altra intensa, emozionante ballata colma di rimpianto per il tempo perduto. Se questi episodi sono il fiore all’occhiello del disco, altrettanto degni di nota sono il country classico di Faded neighborhood in cui primeggia Savana Lee, l’opener movimentato e pimpante Dreamer’s sky, l’old time Find the good, esplicito invito a cercare sempre il lato migliore delle cose, caratterizzato da una riuscita serie di call and response, e i profumi dixie di Magnolia springs, caloroso omaggio al clima caldo e accogliente del sud contrapposto alle terre piatte, spazzate dal vento, cosparse di città senz’anima.

Sento gli uccelli cantare e inizio a cantare con loro, i treni merci che passano tengono un ritmo perfetto, il mondo intero è una sinfonia, mi sento come se potessi volare nel cielo di un sognatore.” I sognatori, si sa, hanno un’energia contagiosa. Immaginano la vita sempre più colorata di quanto non vedano gli altri. Paradise right here è ricco di positività e la trasmette con la sincerità appassionata di un gruppo ben affiatato di amici. Segnatevi il nome: i Willie Sugarcapps ci regalano una fettina di paradiso, proprio qui ed ora.

Track List

  • Dreamer`s Sky
  • Faded Neighborhood
  • Mancil Travis
  • Intentions of My Heart
  • The Highway Breaks My Heart
  • Love Be Good To Me
  • May We Love
  • Find The Good
  • Magnolia Springs
  • Rosemary and Time
  • Paradise Right Here

Articoli Collegati

Willie Sugarcapps

WILLIE SUGARCAPPS

Recensione di Luca De Stefano