TO LOSE MY LIFE<small></small>
Rock Internazionale

White Lies TO LOSE MY LIFE

2009 - Fiction Records

06/07/2009 di Antonio Benforte

#White Lies#Rock Internazionale

Si è fatto un gran parlare di questi ragazzi inglesi, che hanno dalla loro un forte bagaglio di influenze ben evidenti: melodie orecchiabili, sound che ricorda molto da vicino gli Editors, gli U2, ancora di più i Joy Division (fatte le debite proporzioni, senza esagerare). I White Lies possiedono un sound corposo al primo ascolto: le canzoni del loro primo disco ´To lose my life´, conquistano immediatamente. Ma poi? Tolta la patina di Cure, di Ian Curtis, di dark variegato, cosa resta? C’è chi li accusa – a torto? A ragione? – di plagiare troppo, di non brillare per originalità e di aver realizzato un prodotto troppo facile e di impatto immediato sul pubblico. Harry McVeigh, Charles Cave e Jack Brown sanno come pescare dal passato, senza rielaborare più di tanto, ed offrire un prodotto di sicuro successo. Il gusto, però, già al secondo ascolto appassisce. Anche noi c’eravamo illusi. Certo è che ´Death´, prima traccia, subito mette i giusti paletti darkwave, curtisiani, batteria che martella e vocione appassionato che parla di morte, con molta convinzione. ´To lose my life´ è potente, si incammina sullo stesso binario, anche qui una vita che si perde, che va via e la voce cupa a disegnare tinte fosche. Immaginario gotico, molto gotico. Ma molto orecchiabile ´A Place to hide´ riemerge da questa oscurità, con un sound maggiormente solare, per quello che è possibile: qui è la chitarra ad essere maggiormente in evidenza, le atmosfere oniriche e sognanti. Il gioco di richiami, rimandi, citazionista continua nella malinconica e ´Fifty On Our Foreheads´, dove il canto di Harry McVeigh è quasi un grido accorato verso la luna, in una intensa interpretazione. È questo probabilmente il momento più alto dell’intero disco, che da questo momento regala tutta una serie di canzoni che hanno l’indubbia qualità di attaccarsi immediatamente alle pareti del cervello, ma che forse risentono un po’ troppo sia di un ´effetto fotocopia´, che di un già sentito almeno altre dieci volte, negli ultimi 5 anni, in una serie di band che hanno visto affermarsi su tutte soprattutto gli Editors, e pochi altri. Ecco allora qualche mezzo passo falso ´Unfinished business´, ´E.S.T´ e qualche episodio più riuscito ´From the stars´ o addirittura dance ed emozionante ´Farewell to the fairground´, fino alla debole chiusura di ´Nothing to give´ e ´The price of love´. Peccato. L’entusiasmo iniziale è scemato progressivamente, anche se è innegabile che tutte le 10 tracce del disco possano essere potenziali singoli che "spaccano". Il problema è che il disco, preso nella sua interezza, è forse giusto giusto da sufficienza stentata.

Track List

  • Death
  • To lose my life
  • A place to hide
  • Fifty on our foreheads
  • Unfinished business
  • E.S.T
  • From the stars
  • Farewell to the fairground
  • Nothing to give
  • The price of love

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