The Shipwreck Bag Show
2012 - Wallace Records / Phonometak Lab / Tarzan Records
Si parla di ‘destrutturazione’ della forma canzone, di ‘scomposizione’, di ‘asimmetria’, e di tutto ciò che accompagna il termine ‘avanguardia’, in tutte le sue propaggini e declinazioni. Erano in pochi all’epoca a immergervisi, per una sorta di schizofrenia tutta nostrana che stava traghettando i gruppie indie storici a una sintesi e a un consolidamento, mentre segnava una frattura – mentale e di abitudine – di cui quei termini ‘critici’ sono un segnale forte.
Basti seguire il percorso di Bertacchini, che delle ultime due di quelle esperienze era protagonista. Classe 1965, il batterista inizia a studiare lo strumento e le percussioni sotto l’egida del fratello Mauro, attivo nella scena jazz/rock. Dagli anni novanta si sposta verso i poliritmi o verso l’utilizzo del drumkit come pura sorgente sonora, per poi elaborare una idea di musica non metrica, dove il battito è sostituito da una pulsazione e lo sviluppo diviene questione di scivolamento di forme, coinvolgendo l’ascoltatore nel processo creativo.
Percorso analogo quello di Xabier Iriondo, che ha condiviso il palco con Wu Fei, Rhys Chatham (lo ricordo personalmente in una bella versione ‘allargata’ del suo Guitar Trio, a ridosso della pubblicazione di un cofanetto dove il ‘minimalista’ eseguiva la sua sinfonia per chitarre elettriche su un solo accordo, lavorando su masse sonore e microtoni), l’ex cantante dei Can Damo Suzuki e, in proprio, sperimentatore e inventore di strumenti inusuali a alto tasso di elettricità.
Il progetto Shipwreck Bag Show sembra essere quindi per i due musicisti un punto di sintesi, con una tensione ‘sperimentale’ messa al servizio di ‘canzoni’ la cui 'linearità' è in realtà carica delle esperienze accumulate negli anni, dall’iniziale Apocrifo (su testo di Valentina Chiappini) che sembra una ectoplasma finalmente liberato dagli stop and go introversi di marca SixMinuteWarMadness a Duende, con una chitarra elettrica che sembra acquisire funzione ritmica mentre spetta alla batteria tenere alta la tensione del pulviscolo melodico.
E se i cinquanta secondi scarsi de Il Maiale sembrano restituire ai due strumenti una fisionomia meno trasfigurata, ma alzando ancora la temperatura, tocca alla conclusiva Alunno liberare l’aria dalla saturazione compulsiva del suono, presentandoci Iriondo a scandire il movimento del brano mentre le percussioni, adeguatamente filtrate, forniscono una sincope di contrappunto. Musica teosofica, si sarebbe detto un tempo, o eraclitea, nella sua capacità di scomporre e ricomporre gli elementi di cui è fatta prima di chiudersi bruscamente sul silenzio e sul vuoto.