The Felice Brothers Favorite Waitress
2014 - Dualtone / IRD
Decimo titolo questo Favorite Waitress, album che conferma quanto i Felice Brothers (Ian e James Felice con l’aggiunta di Greg Farley, Josh Rawson e David “Este” Estabrook) siano ormai una consolidata realtà nell’ambito di quel gran calderone che oggi ci va di chiamare col termine di Americana.
Dall’opener Bird on Broken Wing (dedicata alla memoria di Pete Seeger) alla chiusa di Silver in the Shadow, scorrono tredici pezzi che prendono il songwriting, lo modellano fuori da uno schema prestabilito dalle abitudini sonore e lo registrano inserendo tutto ciò che esiste anche se non fa parte della vita musicale (cani che abbaiano, voci che conversano, oggetti che si scontrano). Ammucchiati in un van, la band è partita da Woodstock, dove risiedono, arrivando in quel niente del Nebraska che le cartine indicano col nome di Omaha, provando i pezzi lungo la strada e registrando all’Arc Studio, sotto la guida di Jeremy Backofen. On the road dunque, e gli effetti ci sono tutti.
Un album che, per quanto confezionato perfettamente, sa di session vive e improvvise, sa di Band, anzi in più di un passaggio si rivela proprio come una sorta di dichiarazione d’amore verso Robbie Robertson & Co chiusi nella cantina di Big Pink con un ragazzo scampato da un incidente con la sua moto (o forse no) dal nome Bob Dylan. Che Constituents sia un magnifico pezzo con la sua andatura lenta e cadenzata è nelle cose, ma la voce sgualcita di Ian Felice non è figlia della vocalità dinoccolata che ci rapisce quando ascoltiamo Quinn the Eskimo o Million Dollar Bash?
Canzoni che cambiano il sangue cammin facendo. Un album che parte come una carezza e arriva come uno schiaffo, dove gli strumenti all’improvviso s’impennano sporchi e cattivi, lasciando della memoria acustica degli inizi una eco passata. Dolcemente schizoide passare da Meadow of a Dream a Woman Next Door eppure questi sono oggi i Felice Brothers. Da reietti a cui gettare qualche moneta aspettando che il vagone della metro arrivi a professori di un suono che magari scappa qua e là, ma che fa venire voglia di riascoltare e riascoltare finché il proprio viaggio, incominciato a Woodstock, non si chiude a Omaha (ma anche da Piumazzo a Punta Secca può andar bene lo stesso).
Corrado Ori Tanzi lo trovate anche su:
http://8thofmay.wordpress.com