The Tortured Poets Department<small></small>
Rock Internazionale • Pop

Taylor Swift The Tortured Poets Department

2024 - Republic Records

12/07/2024 di Manuel Nash

#Taylor Swift#Rock Internazionale#Pop

È innegabile che quello di Taylor Swift sia un successo declinato principalmente al femminile, tuttavia qualsiasi tentativo di derubricarlo (con frettoloso snobismo) alla voce “roba da ragazzine” sarebbe non solo culturalmente spregevole, ma anche goffamente ingenuo, persino risibile. Raccontare il fenomeno diventerebbe poi impossibile, escludendo dall’equazione il peso della componente lirica dei suoi brani. Sarà certamente cinico, ma questa ragazza della Pennsylvania, così poco propensa a spolverare gli stereotipi teen idol della “reginetta del ballo” o della cheerleader, parte della fortuna la deve alla sua capacità, niente affatto comune, di saper raccontare e condividere, in modo generazionalmente rilevante per milioni di giovani donne, l’atlante dei propri lividi affettivi attraverso una perizia narrativa davvero inusuale per gli standard del pop. I suoi album finiscono così per assomigliare ad una gigantesca terapia di gruppo che prova a sbrogliare la matassa esistenziale che aggroviglia romanticismo ed inadeguatezza. Spesso le canzoni hanno bisogno di rifarsi il trucco nel tentativo di mostrarsi meno personali, per pudico rispetto della vulnerabilità di chi le scrive. Un ragionevole accorgimento del mestiere che i successi di una carriera, ormai ventennale, hanno educatamente declinato, trascinati dall’esuberante scrittura automatica di una (post) teenager che predica l’autoguarigione attraverso canzoni nelle quali riversa tutto il Brat Pack dei propri quotidiani sentimenti. Taylor non è una Molly Ringwald con in tasca una manciata di hit stagionali, piuttosto è la John Hughes di sé stessa. È la migliore amica che molti fan, soprattutto in un mondo, come il nostro, impietosamente marchiato dalla falsa estroversione dei social, vorrebbero poter chiamare nel cuore della notte.
 
Il salto culturale che separa il concetto di America's Sweetheart da quello di America's Best Friend è assai meno scontato di quanto si possa superficialmente credere. Per un paio di generazioni di giovani donne (ma si tratta di un fenomeno tutt’altro che impermeabile per una parte del pubblico maschile) i testi di Swift  sono stati il codice attraverso il quale decifrare il manuale di quello strano gioco chiamato “diventare adulti”. Nella sua idea di “racconto”, spesso propensa a scelte linguistiche niente affatto usuali, c’è una fragile urgenza il cui trasporto passionale (spiritualmente a metà strada tra una Jane Austen ed una Louisa May Alcott) è capace di trasformare “l’inspiegabile e doloroso mistero del crescere” in un capolavoro di comunione affettiva col proprio pubblico. Un simile meccanismo, ad ogni buon conto, non può essere opportunamente sincronizzato, escludendo dall’equazione la pre esistenza di un songwriting impulsivamente incline a veicolare e ad amplificare la personalità di un’autrice che sa perfettamente come indossare il proprio carisma in modo inedito ed intimo.

Volitiva, tenace ed incline a rimboccarsi le maniche senza darsi mai per vinta (emblematica e senza precedenti è la sua instancabile opera di riappropriazione di un catalogo discografico che le è stato letteralmente scippato), Swift sa essere disarmante come una carezza di conforto durante un incendio. Per questo motivo la sua musica è (generazionalmente) percepita come un gratuito gesto di attenzione, lungamente desiderato da parte di schiere di fan che non la sentono irraggiungibile come una Madonna (non solo la cantante), ma, piuttosto, ne avvertono la presenza in modo quasi fisico. Il fascino esercitato dalla sua stage persona è lontano anni luce da quello di qualsiasi altra star.

 
Appare quindi evidente l'impossibilità di decodificare un successo dalle motivazioni sociologicamente così inedite, facendo ricorso a moduli interpretativi ormai desueti e falsati, inoltre, da pregiudizi fondati su una competizione anagrafica che, sovente, muta in patetico cospirazionismo discografico. Pensare che la discografia di Swift non sia destinata a diventare un classico (un paio di album, di fatto, si sono già guadagnati questo status) è estremamente ingenuo. È poi singolare che, spesso, ad indignarsi (proprio come i miei genitori facevano di fronte alle hit dei Duran Duran) siano dei cinquantenni con in tasca il santino di Max Pezzali, uno che intorno al concetto di "pubblica intimità" con i propri fan ha (meritatamente) costruito una duratura carriera sulla quale, trent'anni fa, in pochi (non ero tra questi irriducibili visionari) avrebbero scommesso mezza lira.
I meccanismi che muovono la storia sono sempre gli stessi, perché sempre identici sono gli esseri umani col loro bagaglio di miserie, dolori, fragilità e desideri che hanno bisogno di essere accuditi dall'arte. Ogni ascoltatore sa perfettamente come riconoscere la voce che saprà consolarlo o, a seconda del caso, rassicurarlo e quando vuoi solo sentirti dire un "tranquillo siam qui noi" te ne sbatti riccamente del disappunto di gente innamorata di una giovinezza che non ha più il diritto di indossare. Per questo motivo nessun "Chi è?" (accidenti, vi ho spoilerato la battuta) ostentato con boomeristico dispregio delle funzionalità di Google, riuscirà infatti a cambiare un semplice dato di fatto: Taylor Swift è la più grande pop star degli ultimi 10 anni. Qualsiasi argomentazione diretta a dimostrare il contrario avrebbe la stessa credibilità di un’indagine del commissario Lo Gatto infilata in un film di James Bond.
 
The Tortured Poets Department, affidato alle ormai usuali cure di Jack Antonoff e Aaron Dessner (The National), arriva al culmine di un tour che ha generato incassi inconcepibili e ipotizza una convivenza tra la retromania pop di Midnights (2022) e le eleganti suggestioni di Folklore (2020) ed Evermore (2020). L’edizione deluxe digital only (ribattezzata The Anthology e rilasciata, a sorpresa, a poche ore dalla pubblicazione della versione standard) sfoggia una tracklist di ben 31 brani, per una durata di oltre due ore. Il risultato guarda, in modo palese, verso la Lana Del Rey di Summertime Sadness, ma, combinando i lego di un dream pop liquido ed etero con quelli dell’estetica mainstream tipicamente ’80s, porta a casa solo un suggestivo compromesso al ribasso, nel quale l'ansia di raccontarsi finisce incastrata tra le crepe di un’eccessiva, imprevista, uniformità che blocca il lavoro su un gradino più basso rispetto a quello dei capitoli discografici più recenti.
 
Come sempre accade di fronte ad album irragionevolmente opulenti ed affetti da eccessiva discontinuità, una tracklist meno generosa, unita ad una più lucida capacità di selezionare il materiale a disposizione, avrebbe certamente portato ad un prodotto finale assai più coeso ed avvincente. Il fatto che brani assolutamente solidi come The Black DogThe Albatross (uno dei vertici dell’intero lotto), So High School, I Look In People’s Windows e Peter non siano finiti sulla versione fisica (al posto di numeri francamente molto deboli come But Dandy I Love Him, Who’s Afraid Of Little Old Me, Fresh Out The Slammer I Can Fix Him) è spiegabile solo con un non provvidenziale e colpevole eccesso di self confidence.
 
In Fortnight il contributo di Post Malone è perfettamente funzionale al brano, ma l’effetto non si ripete, in modo altrettanto compiuto, quando in Florida!!! compare la voce di Florence Welch. Il brano, non certo disprezzabile, risulta così inferiore alla somma delle parti. La title track prende in prestito uno snare drum di Prince e lo innesta su un impianto springsteeniano, niente affatto distante da quello sperimentato da Antonoff in diversi episodi degli ultimi due album dei suoi Bleachers. E’ evidente che So Long London, seguito ideale ed amaro della London Boy presente su Lover (2019), ha tutte le caratteristiche per diventare un classico ad (ab)uso dei fan ma Guilty As Sin e I Can Do It With A Broken Heart (una versione apocrifa dei momenti migliori di Carly Rae Jepsen) non sono certo da meno. Duole constatare invece come The Manuscript, che non avrebbe di certo sfigurato su Folklore, sia purtroppo penalizzata da un inspiegabile eccesso di parentela con la Mandy di Barry Manilow. Curiosamente la stessa cosa, ma in misura assolutamente tollerabile sotto il profilo etico, accade anche nell’ottima Ioml.
 In casi come questi mi domando per quale motivo nessuno, intorno all’artista, trovi il coraggio di palesargli i rischi (certamente legali, ma anche chiaramente contigui alla sfera della credibilità) che simili eccessi di autoindulgenza, così gratuitamente sfacciati, possono comportare. La vera gemma della raccolta arriva però con Clara Bow, un omaggio alla star hollywoodiana degli anni ’20 del ‘900 che diventa occasione per un’indagine, tempestiva e amara, intorno ai censurabili metodi attraverso i quali lo showbiz seleziona, spreme, getta e sostituisce le sue icone femminili.
 
È del tutto evidente che la formula di Red, fatta di trasparente cronaca diaristica applicata a delusioni ed insicurezze della quotidianità, sia stata aggiornata in chiave thirtysomething, ma, allo stesso tempo, si ha la sensazione che la penna dell’autrice sia finita nel cul de sac del proprio cliché. Una considerazione simile può essere spesa anche nei confronti dei contributi di Antonoff e Dressner che, cementati da rapporti personali risalenti, hanno oramai dato tutto quel che avevano da offrire. L’esperienza di ascolto, resa particolarmente impegnativa proprio dall’eccesso di offerta di cui sopra, non è tuttavia rovinosa e lo scivolone di Reputation (2017), fortunatamente, non viene replicato.
Allo stesso tempo non è possibile ignorare che Swift abbia già (ampiamente) dimostrato di saper fare meglio di così. A deludere, paradossalmente, sono proprio i testi ai quali manca qualche velo della consueta, brillante, efficacia. Di tanto in tano il tono sembra smarrire intenti costruttivamente liberatori, virando verso il registro, prosaicamente gratuito, di chi puó permettersi di salire in cima alla montagna per gridare i peccati, ben sapendo che i peccatori saranno comunque facilmente individuabili. Alla fragile autocommiserazione di ieri, in cerca tanto di conforto quanto di approvazione, va a sostituirsi un latente senso di soddisfatta vendetta che stride col personaggio e, in una manciata di versi, il baratro del cringe sembra davvero a due passi.
 
Con The Tortured Poets Department non si chiude un capitolo, ma un intero libro, e sarà interessante scoprire la forma del nuovo equilibrio che verrà. Arrivate a questo punto, la cantautrice, la (pop) star e la donna dovranno, inevitabilmente, trovare un necessario compromesso per scoprire, insieme, il respiro di una vita (professionale ma soprattutto personale) davvero nuova, in grado di arrotondare gli  angoli, rendere meno abbaglianti i colori e rivelare la ricchezza di sfumature che, silenziosamente, andranno a spostare le priorità. Taylor Swift ha bisogno di continuare a crescere insieme a quel pubblico che, sino ad ora, ha impeccabilmente accudito e non solo accompagnato. Sarebbe un peccato se un simile rapporto facesse la fine di quelle grandi amicizie che sfioriscono quando le linee parallele di esistenze, un tempo millimetricamente vicine, smettono di correre alla stessa velocità. 

Track List

  • Standard Edition
  • Fortnight
  • The Tortured Poets Department
  • My Boy Only Breaks His Favorite Toys
  • Down Bad
  • So Long, London
  • But Daddy I Love Him
  • Fresh Out the Slammer
  • Florida!!! [ft. Florence and the Machine]
  • Guilty as Sin?
  • Who`s Afraid of Little Old Me?
  • I Can Fix Him (No Really I Can)
  • LOML
  • I Can Do It With a Broken Heart
  • The Smallest Man Who Ever Lived
  • The Alchemy
  • Clara Bow
  • The Manuscript (Bonus Track)
  • Anthology Edition
  • Fortnight
  • The Tortured Poets Department
  • My Boy Only Breaks His Favorite Toys
  • Down Bad
  • So Long, London
  • But Daddy I Love Him
  • Fresh Out the Slammer
  • Florida!!! [ft. Florence and the Machine]
  • Guilty as Sin?
  • Who`s Afraid of Little Old Me?
  • I Can Fix Him (No Really I Can)
  • LOML
  • I Can Do It With a Broken Heart
  • The Smallest Man Who Ever Lived
  • The Alchemy
  • Clara Bow
  • The Black Dog
  • Imgonnagetyouback
  • The Albatross
  • Chloe or Sam or Sophia or Marcus
  • How Did It End?
  • So High School
  • I Hate It Here
  • Thank You Aimee
  • I Look in People`s Windows
  • The Prophecy
  • Cassandra
  • Peter
  • The Bolter
  • Robin
  • The Manuscript

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