Swanz The Lonely Cat Covers On My Bed, Stones In My Pillow
2017 - Desvelos Records
#Swanz The Lonely Cat#Americana#Folk #Swanz #Luca Andriolo #Thomas Guiducci #Elvis Presley #Joy Division #John Cale #Tyla #Kris Kristofferson #Dead Cat In A Bag
Chiaro che quello che abbiamo in mano sia un disco anomalo; un esordio, di solito, contiene materiale inedito e, spesso d'ispirazione autobiografica: niente di tutto questo, Swanz raduna ed esegue in questa mezz'ora abbondante, la musica che più lo ha toccato, brani che hanno contribuito a plasmare il suo essere musicista ed autore, ed ogni pezzo ne esce nuovo, non eseguito, ma interpretato e diventato altro da se', e, proprio per la profonda impronta che Swanz lascia, il disco risulta omogeneo.
La scelta stilistica è quella di abbracciare un folk scuro ed acustico, Swanz suona e produce in solitario l' album, se si eccettuano gli interventi di Roberto Necco al longneck banjo, Francesca Musnicki a viola e violoncello e Thomas Guiducci che provvede a banjo e batteria in una malinconica Peggy Sue Got Married ( Buddy Holly ) e nella straordinaria lettura di All Along The Watchtower ( Dylan ) che diventa un pezzo dal tiro hillbillypunk.
Swanz canta in tutti i brani e si occupa di chitarre e banjo, dobro, mandolino e balalaika, harmonium ed organo Bontempi, senza dimenticare l'elettronica. Un album con i piedi piantati nel passato, ma con un occhio a quel folk American Gothic che negli ultimi anni ha prodotto capolavori, ed il pensiero va, per le atmosfere, ad autori come Stone Jack Jones, Daughn Gibson o alle ballad di John Murry. I brani oggetto del trattamento Swanz e, quindi i temi scelti, parlano di amore malato e rimpianto: una preghiera rallentata e sussurrata a bassa voce è Love Me Tender ( Presley, Matson ), la Cold Cold Heart di Hank Williams si trasforma in un countryfolk per il nuovo millennio, con un crescendo di harmonium e tastiere nel finale, il successo del 1970 di Kris Kristofferson, For The Good Times, è interpretato con il cuore in mano, quasi che quell'ultimo incontro amoroso alla fine di una storia, raccontasse un doloroso addio vissuto realmente.
Non è tutto, fra tanta America il brano che ci ha colpito di più è europeo, The Eternal, originale proveniente da Closer, il secondo ed ultimo album dei Joy Division, in pratica il disco che meglio codifica l'estetica della morte. Niente basso, né batteria, solo voce e banjo per raccontare la disperazione di un corteo funebre in un crescendo di rassegnazione con gli archi e l'elettronica a punteggiarne efficacemente il dolore.
C' è ancora posto per un brano di John Cale, Thoughtless Kind, uno del dimenticato Washington Phillips, A mother's Last Word To Her Son, per il traditional Wayfaring Stranger e per una ballad, il brano dalla resa più ortodossa dell' album, si tratta di Lovers, di Tyla dei The Dogs D'Amour, band sleazy rock anni '80 che ha avuto una qualche notorietà anche da noi ma che abbiamo faticato a ricordare.
In definitiva un lavoro onesto e radicale, un disco senza compromessi, suoni e strumenti minimali, la scelta di destrutturare e ricostruire, con un attento lavoro " a togliere " i brani scelti, un disco di cover che ha più personalità di centinaia di originali soffritti con l'autotune.