Sue Foley The Ice Queen
2018 - Stony Plain Records / IRD
Sgombriamo subito il campo da un possibile fraintendimento: il titolo regina di ghiaccio non ha niente a che vedere con la personalità dell’artista, tutt’altro che fredda, anzi, semmai è un riferimento alle terre del nord da cui proviene, ma soprattutto è un omaggio ad Albert Collins, conosciuto come “The Master of The Telecaster” o più spesso con l’appellativo “The Iceman”, uno dei principali riferimenti stilistici della Foley.
Il disco sulla carta promette quindi scintille, e ciò puntualmente si avvera all’ascolto: The Ice Queen è indubbiamente uno dei dischi migliori di questa agguerrita blueswoman che firma di suo pugno dieci dei dodici brani proposti, nel complesso un bel compendio di texas blues, riproposto nelle sue varie sfaccettature con un’ottima attitudine. Nessun tecnicismo ruffiano, solo grande musica, suonata con il cuore, che va dritta allo scopo senza orpelli e prende lo stomaco. Sue maneggia la sua famosa Signature Pink Paisley Telecaster con classe pungente sia nelle stilettate inferte dai riff sapidi e asciutti che contraddistinguono i numeri dal ritmo più incalzante, sia nei fraseggi accorati e coinvolgenti dei tempi lenti. La voce fresca e sfrontata di sempre graffia e lascia il segno, decisamente in gran forma come si conviene ad una splendida cinquantenne nel pieno della propria maturità artistica.
Procediamo con ordine. Partenza in quarta con il rock blues tirato di Come To Me e Mr. Charlie Sexton alla slide che sale in cattedra, come pure in 81, indolente blues di grande atmosfera, tratteggiato dal brillante interplay delle due chitarre sostenuto dall’Hammond di Flanigin e dalla voce pigra e strascicata che ricorda il mood di Lucinda Williams. Timone ben saldo nelle sole mani della Foley nel vivace rock’n’roll, sporco al punto giusto, di Run (in trio con Johnny Bradley al basso acustico e George Rains alle pelli) e nel bluesaccio lento e coinvolgente della title track, questa volta con Billy Horton al basso, sei minuti e mezzo di intense divagazioni strumentali sviluppate con un fraseggio decisamente accattivante e preciso. Con The Lucky Ones è il turno di Jimmie Vaughan ad affiancare la titolare in uno shuffle che ovviamente porta sugli scudi il tipico suono dei Fabulous Thunderbirds mentre i due si alternano in una irresistibile scaramuccia tra voci e chitarre. Passando a Gaslight la temperatura si scalda ulteriormente e l’arrivo dei fiati instaura quel feeling caloroso e sudato da consumata bar-band intenta a far battere il tempo agli avventori chiamandoli sottopalco, necessaria premessa all’ingresso di Billy F Gibbons e il suo vocione rauco e cavernoso che in Fool’s Gold soffia anche nell’armonica intercalando rapidi interventi alla chitarra. È un blues canonico, tutto sommato standard, ma piacevole e gustoso grazie al buon lavoro svolto all’hammond dal solito Flanigin, prezioso nell’irrobustire il sound del combo. If I Have Forsaken You è una ballad d’altri tempi, dall’incedere solenne, che ospita i Texas Horns e di nuovo un Jimmie Vaughan particolarmente ispirato: la Foley abbandona per un attimo la chitarra e interpreta il brano ricorrendo alla vocalità jazzata che si addice al buio di un locale all’ora di chiusura, quando la cantante sul palco si gioca il tutto e per tutto con gli ultimi cuori spezzati della notte. Send Me To ‘Lectric Chair è invece la prima delle due cover del lotto, pescata dal repertorio di Bessie Smith, altra interpretazione vocale di gran pregio, baldanzosa e impertinente, seguita a ruota dalla struggente malinconia di Death Of Dream, gradevolmente jazzy avvolta com’è dai suoni soffici delle corde di nylon della chitarra classica. Rimane una curiosa sorpresa: vi aspettavate che Sue Foley suonasse il flamenco? Ebbene sì, questo accade in The Dance, un divertissement che la Foley si concede con gusto, misura e talento. La chiusura spetta a una bella cover acustica di Cannonball Blues (A. P. Carter prima di tutti, poi Charlie Poole & The North Carolina Ramblers, passando per Woody Guthrie fino al John Mellencamp di To Washington, suo personale arrangiamento, nella musica e nelle liriche, del celebre traditional) pura old time music distillata ad arte dalle esperte mani della canadese.
Sue Foley è un’artista di razza, coniuga feeling e tecnica con talento filologico, scrive bene e bada all’essenziale. The Ice Queen mantiene la promessa del miglior artigianato blues, autentico e viscerale come sa essere ogni espressione di sincera passione. La regina del ghiaccio è tornata, pronta a scaldare il cuore affamato di musica vera ad ogni estimatore del blues al femminile (e non solo). Consigliato!