Sacrobosco IXVXI
2023 - Trovarobato
spazio dedicato alla prima delle due uscite per Trovarobato di SACROBOSCO, la proposta di Giacomo Giunchedi si rinnova e autoalimenta a suon di sibili astrali e paesaggi sonori nel disco gemello IXVXI.
Nulla si inceppa nel disinvolto passaggio di testimone fra i due capitoli, tanto da far apparire quest’opera seconda come fisiologica conseguenza dell’elaborato inaugurale. Intanto, una sana dose di elettronica adornata il giusto, scaltramente immessa nelle centrifughe di spirali e vortici di ineffabile materia. Perciò all’istante, pronti via, a molleggiare subito su bpm stabilizzati in progressioni uptempo fra iterazioni convulse e frustate di hi-hat (Heat), richiamate più avanti anche in corso d’opera (Ghosting). Diciamo vezzo e comfort zone al tempo stesso, da concretizzarsi sovente nell’avveduto e bilanciato calibro timbrico-ritmico del buon Efdemin o del Tourist di Everyday (maestro nel dosare gli equilibri dei crescendo via via disciolti in saturazioni tempestose).
E qual buon vento, nel rivedere anche l’irregolare passo di On Four Walls materializzarsi qui nel bel mezzo di un groove storto e sporco, scandito dai serrati dialoghi fra synth (Neverleave) o nell’ovattato e claustrofobico tour de force di Talcoat.
Groove più fine e ricercato guida Peculiar, penetrante e tumultuoso, in un lento mulinare fra gli irrefrenabili ultrasuoni di particelle sminuzzate nell’iperspazio, libere di lambire i pastelli sopraffini del Gold Panda di Lucky Shiner.
Eleganza da più parti riproposta, avvitata e congelata in Higher, giro di boa, nell’istantanea di un repeat loop a sei corde fra nebulose di beat cadenzati, quintessenza estatica ed ipnotica, cordialmente poi confinata ai margini sul finire, in un cerebrale gioco di sottrazioni e mitigazioni.
Qua e là stuoli di synth a ronzare per aria, e, all’ultima curva (Sic) Giunchedi ripesca il passo galoppante, la summa un po’ di tutto, e pulsazioni strutturate ancor più dense, a tambur battente sbobinate su basse frequenze e ardite texture armoniche (che vellicano l’estro del Teebs di Ardour).
IXVXI interseca e completa l'opera prima senza fare calcoli, processando e rimpolpando la palette creativa di un modello sì canonico e rodato, ma non per questo privo di peculiare fascino e mai impantanato nelle sabbie mobili di stucchevoli sovrabbondanze.
Come già avevamo preannunciato su queste pagine, nello Nulla si inceppa nel disinvolto passaggio di testimone fra i due capitoli, tanto da far apparire quest’opera seconda come fisiologica conseguenza dell’elaborato inaugurale. Intanto, una sana dose di elettronica adornata il giusto, scaltramente immessa nelle centrifughe di spirali e vortici di ineffabile materia. Perciò all’istante, pronti via, a molleggiare subito su bpm stabilizzati in progressioni uptempo fra iterazioni convulse e frustate di hi-hat (Heat), richiamate più avanti anche in corso d’opera (Ghosting). Diciamo vezzo e comfort zone al tempo stesso, da concretizzarsi sovente nell’avveduto e bilanciato calibro timbrico-ritmico del buon Efdemin o del Tourist di Everyday (maestro nel dosare gli equilibri dei crescendo via via disciolti in saturazioni tempestose).
E qual buon vento, nel rivedere anche l’irregolare passo di On Four Walls materializzarsi qui nel bel mezzo di un groove storto e sporco, scandito dai serrati dialoghi fra synth (Neverleave) o nell’ovattato e claustrofobico tour de force di Talcoat.
Groove più fine e ricercato guida Peculiar, penetrante e tumultuoso, in un lento mulinare fra gli irrefrenabili ultrasuoni di particelle sminuzzate nell’iperspazio, libere di lambire i pastelli sopraffini del Gold Panda di Lucky Shiner.
Eleganza da più parti riproposta, avvitata e congelata in Higher, giro di boa, nell’istantanea di un repeat loop a sei corde fra nebulose di beat cadenzati, quintessenza estatica ed ipnotica, cordialmente poi confinata ai margini sul finire, in un cerebrale gioco di sottrazioni e mitigazioni.
Qua e là stuoli di synth a ronzare per aria, e, all’ultima curva (Sic) Giunchedi ripesca il passo galoppante, la summa un po’ di tutto, e pulsazioni strutturate ancor più dense, a tambur battente sbobinate su basse frequenze e ardite texture armoniche (che vellicano l’estro del Teebs di Ardour).
IXVXI interseca e completa l'opera prima senza fare calcoli, processando e rimpolpando la palette creativa di un modello sì canonico e rodato, ma non per questo privo di peculiare fascino e mai impantanato nelle sabbie mobili di stucchevoli sovrabbondanze.