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Roy Buchanan Live at Town Hall 1974
2018 - Real Gone / IRD
Buchanan ha per anni suonato in cambio di pochi dollari a sera in giro per gli States, costruendosi via via una reputazione di gran chitarrista che lo ha portato ad accompagnare musicisti come Johnny Otis, Dale Hawkings e Mundell Lowe. Sposatosi nel 1961 con Judy Owens, va a vivere nei sobborghi di Washington D.C. e diventa padre di sette figli, preferendo – nel ’69 - il suonare nelle venues locali all’andare in tour coi Rolling Stones. Tutor di Robbie Robertson, modello di Jeff Beck, sodale di Nils Lofgren, Buchanan viene considerato un maestro della Fender Telecaster. Non sai mai che suoni Roy possa estrarre dalla sua Nancy, perché è un tipo che si tiene tutto dentro e riversa i suoi everchanging moods sulla paziente, inseparabile compagna. Costantemente in tour, grazie al documentario di cui sopra Buchanan si fa notare dalle major, e inizia ad incidere dischi per la Polydor e poi per la Atlantic. Ogniqualvolta acchiappi il successo, Buchanan se ne discosta con orrore, preferendo non produrre dischi per anni piuttosto che diventare un ingranaggio del music business. O è stato invece per paura, per mancanza di personalità, o a causa della dipendenza dall’alcol che Buchanan non ha mai veramente spiccato il volo? Il dolore di vivere, l’assedio dei suoi demoni, l’irrequietezza esistenziale, se da un lato hanno impedito a Roy Buchanan di affermarsi nello Stardom musicale americano, dall’altro – applicati alla straordinaria perizia tecnica - gli hanno permesso di comporre pezzi come The Messiah Will Come Again, che quando lo senti diventi matto, perché ti fa godere dello stato di compiaciuto struggimento in cui ti colloca, e vorresti non finisse mai.
È esattamente quello che capita a chi ascolti il Live oggetto della presente recensione, testimonianza dei due concerti suonati il 27 novembre 1974 dalla band di Buchanan alla Town Hall di New York e comprendente, oltre ai sei brani del primo dei due spettacoli (Early Set) divulgati insieme ad una versione di I’m Evil tratta da un’altra esibizione l’anno successivo all’evento dall’album Live Stock, pure quelli dell'esibizione serale (Late Set). L’edizione pubblicata nel ’75, inoltre, non includeva l’energico strumentale che apre il concerto - Done Your Daddy Dirty – né la cover di Hey Joe, e neppure gli standard blues Too Many Rivers e Driftin’ and Driftin’, né Down by the River - dal Songbook di Neil Young -, e nemmeno In the Beginning, nata dalla penna dello stesso Buchanan. Il compilatore di Live Stock – ultimo album inciso da Buchanan per la Polydor -, aveva insomma sforbiciato arbitrariamente il programma, senza rispetto alcuno per la filologia e per la coerenza dell’opera. Nonostante siffatto scempio campionatorio, il risicato live che ne era derivato risultava (risulta) comunque assai gradevole da ascoltare. Questo perché, a fronte degli esiti altalenanti della sua produzione in studio, le testimonianze delle esibizioni dal vivo di Buchanan non deludono mai. Quella live risulta infatti essere la dimensione in cui Roy si è sempre sentito più a suo agio, a dispetto di una staticità sul palco inappropriata a un incantatore di folle. Il pubblico presente in sala, e quello che grazie alla riproducibilità tecnica dell’opera d’arte può oggi godersi la perfomance dal proprio salotto, incantato tuttavia ci rimane. Addirittura ammaliato, ammettiamolo, tanto dalla perizia tecnica quanto dall’anima di questo figlio dell’America più polverosa.
Va da sè che questa edizione, meritoriamente curata ed immessa sul mercato dalla Real Gone Music, un’etichetta che dal 2011 si dedica a un’opera di selezione, ripescaggio e riedizione di musica americana il cui livello venga appunto valutato “real gone”, ovverossia strepitoso, è quanto di meglio chi ami Buchanan, il blues, la musica vera possa augurarsi di trovare. Si apprezzano gli strumentali, si perdona a Buchanan il livello appena accettabile del canto nei pezzi in cui è lui stesso a mettere la voce – come Roy’s Blues, Hey Joe, o I’m Evil –, mentre si arriva ad attendere con impazienza che il cantante ingaggiato per i brani più impegnativi – Billy Price, tecnicamente adeguato ma incapace di comunicare emozioni – lasci spazio a Nancy, la Telecaster del ’53 che grazie al tocco di Buchanan si impone come la vera protagonista del doppio album. Il maestro non ricorre a effetti quali il feedback e la distorsione, preferisce farla gemere, la sua Nancy, la provoca e lei arroca la voce, la maltratta fino a farla strillare, la lusinga quindi e l’accarezza, la induce a sussurrare dolci note d’amore. I fraseggi sono limpidi, le accelerazioni brucianti, lo stile emotivo, evocativo, elegante. Roy dilaga, si esalta, ed esalta chi lo ascolta. E chi lo ascolta gode delle quasi due ore di delizie che questo splendido virtuoso sa regalare, si perde nel bozzolo sonoro che la foga romantica di questo eroe della chitarra riesce a costruire, prova infine riconoscenza per la sospensione temporale che le mani e il cuore di questo magnifico perdente sono in grado di creare.
Roy Buchanan: Electric Guitars, Vocals, Billy Price: Lead Vocals, Malcom Lukens: Keyboards, John Harrison: Bass, Byrd Foster: Drums