Me and My Army<small></small>
Rock Internazionale • Alternative • indie-folk, elettronica, dream-pop, pop-rock, indie-rock

Phomea Me and My Army

2022 - Beautiful Losers / Beng! Dischi / Beta Produzioni

03/01/2023 di Ambrosia J. S. Imbornone

#Phomea#Rock Internazionale#Alternative

Il polistrumentista toscano Fabio Pocci, in arte Phomea, è tornato con un disco molto differente dal suo primo lavoro, più artigianale, acustico ed essenziale, l’emozionante Annie (2019): in Me and My Army la sua musica diventa collettiva, perché “Siamo tutti in un qualche modo sbagliati ed è proprio questo che alla fine ci rende simili. Non siamo soli”, afferma l’artista, che in Ruins of Gold, rassicura l’altra persona che non sa se sarà più felice, non può impegnarsi a cambiare il mondo, né può assicurarle che lei non morirà mai, ma può prometterle che non morirà da sola. È una rassicurazione che prosegue idealmente in un altro pezzo, Run, in cui ci si dice sempre pronti ad accorrere quando ce ne sarà bisogno e ad esserci sempre: “At the bus stop / At your marriage at your burial / In all the rainy days / Even in the worst ones / I’ll be there and I can’t say you will be happier / But I’m here and I will be”. Continua Fabio: “Non dobbiamo essere soli in questa guerra. Questa è una guerra, l’ennesima contro noi stessi, e questa è la mia armata”. Quest’ultima è composta dai musicisti che lo accompagnano, citati sul libretto per ogni canzone appunto come “My army”; tra questi vi sono anche Alessandro Fiori (in Dark) e Flavio Ferri (in The Swarm).

Secondo Phomea siamo simili, sì, contraddistinti dalle stesse fragilità, dalle stesse gabbie invisibili, dagli stessi sogni infranti e dalle stesse aspettative e speranze, talora pure deluse, con l’impressione di sapere tutto, quando invece sappiamo solo quanti anni abbiamo, ma possiamo affrontare i nostri limiti grazie al nostro esercito, diventando anche il nostro esercito (Take Control). Ma dove finisce l’umano e comincia il virtuale? Questo album fa riflettere anche sull’intelligenza artificiale, a cui ha affidato le illustrazioni, generate da un algoritmo, e ci affida interrogativi, più che risposte, come quelle contenute in J.B., recitati da una voce artificiale, inespressiva e meccanica, che ci fa pensare a quanto sia difficile distingue anche realtà e sogno: “Am I human / I am losing my mind […] Am I happy? / is This your world? / Is that what you thought, or it’s just another dream? / Is that my war? / Is that your war? / Is that a proper war?”. Dato che vengono proprio nominate le parole del titolo, appare un chiaro omaggio a Fitter Happier dei Radiohead, dove una voce sintetizzata, generata dall’applicazione Macintosh SimpleText, pure ci portava nel cuore della società capitalista, alienata e pragmatica, non più idealista. Che la perfezione risieda d’altronde nell’atarassia, in una freddezza che ci renda più simili forse alle macchine, ma protegga dalle emozioni (Perfect Stone)?

La musica, d’altronde, pure fonde arpeggi pensosi e suoni acustici, più caldi e materici, indie-folk, come ad esempio nella splendida e intima apertura dell’essenziale The Swarm  (in cui torna la domanda “Am I human?”), o folk-rock, con sonorità elettroniche glitch (e anche la vita stessa è definita un glitch in What About Us, come se fosse il suono di un errore non prevedibile, o, come recitano i versi, “an out-of-time beat”), stridenti, quasi col rumore bianco che è come il rumore costante dell’esistenza, oppure con tempeste grandiose di suoni elettronici siderali, o ancora con magnifiche atmosfere struggenti e maestose.

Non mancano neanche nel secondo album di Pocci le bellissime linee di piano che caratterizzavano il primo album, che, qui, però, limpide e avvolgenti, si innestano su sfondi sonori più densi di colori sognanti ed eterei (v. la title-track, che mette davanti a responsabilità e sensi di colpa e ci fa domandare chi sia veramente vivo).

Questo microcosmo sonoro variopinto accoglie anche inserti di fiati eleganti, efficaci squarci melodici agrodolci, come quelli che narrano il bisogno di solitudine di Unplease Me, o momenti quasi pop-rock, cordiali e luminosi, che ricordano gli anni Novanta di band come i R.E.M. (Lover).

Nelle ultime canzoni del disco torna un po’ più preponderante l’approccio acustico, che lascia a tratti più in rilievo la voce per parlare di vita e morte, senza rinunciare però alla poesia di archi o suoni sintetici dalla potenza onirica (v. la bellissima, commovente Dark). Ancora, nella conclusione acustica del disco (Look at You), si parla della guerra, che ormai è finita: eppure, se altri hanno perso del tutto le loro speranze, si è ancora lì, resistenti e sopravvissuti, a sognare “like a fool”, tra dolore, ceneri, fiamme, battaglie vinte e sconfitte.
Un ottimo lavoro, con un’ottima produzione, curata dallo stesso Phomea con Lorenzo Pinto, un disco che squaderna suoni acustici che cullano, sonorità ammalianti che incantano e parole che fanno pensare: vi consigliamo di ascoltarlo.

Track List

  • Take Control
  • Me and My Army
  • Unplease Me
  • Lover
  • Ruins of Gold
  • J.B.
  • What About Us
  • Run
  • The Swarm
  • Perfect Stone
  • Dark
  • Look at You

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