Parker Millsap Parker Millsap
2014 - Okrahoma Records
Disco straordinariamente bello. Un disco che non ti aspettavi e con cui ti imbatti per caso, niente di nuovo a dir il vero, ma con una freschezza e una potenza espressiva da lasciarci sbalorditi. Una rilettura della tradizione con una forza e un accento comunicativo da lasciarci a bocca aperta e con la capacità di ammanettarci per trascinarci sulla scala verso il paradiso e nel risucchio ruzzolante della beata dannazione. C’è tanto di antico e di inconsueta e virginale modernità nelle canzoni del giovane Parker Millsap, c’è l’inferno delle leggende agresti e il paradiso peccaminoso della scoperta della carne che brucia, il sangue che scorre e l’espiazione che squarcia le tenebre del conservatorismo rurale. Una fiammeggiante energia emotiva e un’inconsueta grezza modernità nel resuscitare radici & tradizione; e non per niente gli Old Crow Medicine Show l’hanno voluto ad aprire le date del loro tour europeo.
Parker Millsap, nato e cresciuto in una chiesa pentecostale in un piccolo paese dell'Oklahoma, uno degli stati più aspri degli States, esordisce con questo disco a soli 22 anni anche se precedentemente, nel 2012, aveva già dato alle stampe un interessante e promettente Palisade, ma era un cd che vendeva più che altro ai concerti. Parker Millsap, come il suo conterraneo John Fullbright, si sta già facendo un nome non solo nel giro degli appassionati ed è sicuramente un songwriter da tenere d'occhio. Il suo disco non è il solito lavoro che racchiude folk, country e radici, ma come già detto in premessa ha una forza intrinseca nel rinnovare la tradizione, rimodulandola con una voce espressiva che ti agguanta già dal primo ascolto; una voce capace di contrassegnare e penetrare ogni singolo brano. Il suono ha matrici roots, ma sprigiona energia e vitalità con una incisività spumeggiante.
Dalla sua ha una scrittura letteraria colta e una forza lirica che si muove in quel tracciato che tocca commedia e vita, indossando anche una sequenza di riferimenti biblici avvinghiati al suo rapporto non pacificato con la religione. L’etichetta Red Dirt Music gli va stretta, anche se c’è chi ne avverte qualche connessione, nelle sue songs parla della sua terra, mette in piedi uno degli episodi più vitali, emozionanti e potenti di musica Americana degli ultimi tempi. Una narrazione che è un vero e proprio resoconto documentale tra vita quotidiana, religione, risentimento e i sentimenti interiori legati con un filo rosso alla gente dell’Oklahoma. Storie annegate tra dannazione, castigo, riscatto, espiazione e redenzione. E’ un’attitudine musicale architettata con chitarra acustica, un violino onnipresente, qualche giro di basso e una batteria spazzolata, una puntata di pedal steel e in alcuni brani una sorprendente sezione fiati che ha profumi soul-jazzy, infiltramenti swing, i denti stretti del blues, le inflessioni del gospel adottate dal country e dal bluegrass; un cocktail sonico adulto di ampio spessore e un efficiente impatto emozionale.
Tra i vari brani segnaliamo la caustica Old time Religion dove espone gli aspetti più imbarazzanti della religione e la fantastica Truck Stop Gospel che padroneggia fervore e mescola honky-tonk e rock’n’roll; ma anche l’anima bluesy di Land Of The Red Man, la malinconia country di At The Bar, le atmosfere rootsy di Disappear e When I Leave, le ombre oscure di Quite Contrary, il vortice devastante del gioco d’azzardo in Yosemite, la sensualità di Forgive Me e lo schietto romanticismo di The Villian risplendono di luce propria. Canzoni che graffiano l’anima, crude ed ardenti, con un forte pathos edificato con abilità, pochi strumenti, una voce diretta, pause & ritmi, una forte passione, con il sangue che scorre nelle vene e la rossa polvere dell’Oklahoma portata dal vento per un disco avvincente ed adescatore. Tra i miei top-ten dell’anno!!