OvO Abisso
2013 - Supernatural Cat / Goodfellas
#OvO#Rock Internazionale#Alternative #Experimental #Noise #Metal
Ci sono dei dischi che sono fuori tempo massimo, altri che non sono dischi, altri che sono dei cult. Ecco questo nuovo lavoro degli Ovo è un po’ tutte e tre le cose messe assieme. Sicuramente mai come in questo caso il titolo è stato esplicativo dei suoni contenuti, esempio perfetto di come la musica sia un linguaggio universale quanto evocativo. Suono cupo e sordo, non si può dire che le tracce non abbiano carattere. Un doom metal cerebrale con aspirazioni fortemente scure e inquietanti come solo un abisso può trasmettere. Era dai tempi dei Bauhaus che non mi capitava di provare le stesse sensazioni.
L’imprinting sonoro rende omaggio al post-punk della storica band di Northampton, mostrandoci per contro un concept appesantito dallo stesso senso di disagio, ma intarsiato da venature tipicamente hard-core. Urla e stridii che paiono provenire dall’inferno: Il disco inizia e finisce come un presagio demoniaco che fa da sottile linea rossa a tutta la durata della track list. Se all’inizio si possono scorgere tracce dalla ritmica solida e strutturata in stile Sepultura con la traccia A Dream Within A Dream emergono nitidamente dei tipici richiami alla produzione new wave dei Virgin Prunes, dei Bauhaus stessi e addirittura alle ambientazioni cinematografiche del mitico film kubrikiano “Arancia meccanica”. Con Abisso le ritmiche sembrano cambiare registro, ma è con Fly Little Demon che finalmente le anime si quietano restituendoci una spettrale ma ristoratrice pace. E’ qui che la voce femminile di Carla Bozulich disegna probabilmente la track di maggior pathos dell’intero lavoro.
Al di là della pregevole fattura del disco bisogna altresì dire che questo non è fatto di canzoni in senso classico, ma di lunghe apologie votate alla ricerca di un’estetica musicale perversa. Un lavoro mai banale, ma che consiglierei solo in specifiche e particolari situazioni. Dalla sua parte non gioca sicuramente la durata complessiva che, sommata alla specifica natura del suono, rende il tutto oversize. Forse sarebbe bastato dimezzare il numero dei pezzi pur mantenendo la scelta strutturale delle tracce. Va dato atto comunque che ci sia stato il tentativo di arricchire e innovare il suono.
Integralista all’inverosimile, ma con citazioni di alta scuola quello che manca probabilmente è l’effetto sorpresa. Un album che a tratti risulta troppo invecchiato a volte troppo vanitoso. Certo per gli stessi motivi avremmo anche potuto gridare al capolavoro di genere, presuntuosamente uscito con circa vent’anni di ritardo. Stefania Pedretti e Bruno Dorella però non amano le definizioni e fanno bene. Alla fine il loro più grande merito è forse quello di essere riusciti a fare un’opera senza né fronzoli né compromessi, trasmettendo nei fatti e non a parole l’inquietudine allo stato puro.