Marc Ribot`s Ceramic Dog Connection
2023 - Knockwurst / Yellowbird
Il trio guidato dal ricercatissimo chitarrista di Newark, affiancato dal bassista Shahzad Ismaily e dal batterista Ches Smith, è forse giunto alla sintesi migliore del suo stile, proseguendo sulla scia del precedente Hope (ne abbiamo parlato qui: www.mescalina.it/musica/recensioni/marc-ribots-ceramic-dog-hope) e dando un ulteriore sferzata in termini di sincretismo tra i generi ed estremismo della proposta. L'ascoltatore è sottoposto a un violento assalto sonoro che potremmo considerare al tempo stesso minimalista e massimalista. Ogni genere viene ridotto al suo archetipo primigenio e ricondotto a un'immediata, persino un po' autoironica, riconoscibilità, per poi lavorarci sopra con gli strumenti dell'improvvisazione, della distorsione, del rumore. Una rilettura che sembra schiudere le porte di un'autentica post-modernità. Seguendo questo ricetta ci si muove di volta in volta tra punk e metal, rock e free jazz, musica elettronica e ritmi sudamericani. Il trio si fa strada all'unisono con rara unità d'intenti, in un approccio perfettamente democratico in cui però è sempre ben evidente chi riveste il ruolo di indiscusso capobanda.
Connection è un disco raffinatamente maleducato, semplice e diretto come un cazzotto in pieno volto e contemporaneamente molto ricercato, figlio di una precisa filosofia musicale. Diversi pezzi sono scolpiti intorno alla semplicità di un riff, di un'iterazione. Se la title track avrebbe esaltato la coppia Lou Reed-Robert Quine, la successiva Subsidiary è un instancabile scavo dentro un'ostinato lavoro di distorsione, mentre il “birignao” delle tastiere tiene insieme, più avanti, la sghemba That's Entertainment. L'accoppiata Ecstacy-Crumbia strizza chiaramente l'occhio alla musica sudamericana e alle atmosfere della collaborazione di Ribot con Los Cubanos Postizos (1998-2000): ancora una volta la dichiarazione di genere è scoperta, al limite del cliché, ma la ricomposizione-ricucitura operata dai musicisti crea un paesaggio straordinario. L'altro dittico di raffinatissima qualità è quello formato da Swan e Order of Protection, due “isole” a sé stanti nella sequenza del disco, due lunghissime cavalcate in cui si lascia libero sfogo alla chitarra e alle doti di solista-improvvisatore di Ribot: se la prima traccia naviga sicura tra i marosi del free jazz, la seconda accarezza irresistibilmente gli accordi hendrixiani di Little Wing.
Una chiosa a parte merita un pezzo come Heart Attack. Se lo si ascolta distrattamente, può capitare di fare un balzo sul divano quando il testo, a un certo punto, spara una mitragliata di quelle che sembrano parolacce in italiano. È tutto vero. Le contumelie nella nostra lingua sono messe a confronto con quelle americane. Ribot ha spiegato, in una recente intervista al mensile Musica Jazz (agosto 2023), che l'intenzione era quella di paragonare un acceso diverbio nella sua lingua madre con uno nella lingua del Bel Paese. A suo giudizio, se nel primo caso ci pare di ascoltare una schermaglia tra pugili, nel secondo siamo più vicini a una fitta sequenza di pugnalate. Ciascuno può sincerarsi di tutto ciò, e convenire con lui. Con un genio che cava fuori la musicalità dall'osceno.