Macy Gray Stripped [Lost & Found]
2018 - Chesky Records / IRD
I suoi esordi conditi di stratosferici numeri commerciali (How Life Is e I Try superarono, insieme, le 10 milioni di copie vendute) li conosciamo. Così come i flop successivi (non tanto di critica a essere onesti). A cui seguì una miscellanea di album che creò solo confusione tra cover (Covered), dischi altrui reinterpretati da cima a fondo (Talking Book di Stevie Wonder), raccolte insipide e un ultimo capitolo, The Way, evaporato ben presto.
La sua ultima testimonianza data aprile 2016 e si intitola Stripped, pubblicata niente di meno che dalla Chesky Records dei fratelli Norman e David Chesky, le cui stellette sul petto sono state guadagnate tra jazz e classica con musica alta (Astor Piazzolla, Ars Antiqua Austra e Bruckner Orchester Linz, tanto per citare i primi nomi). La direzione è quella del jazz binaural (o binaurale), che tanto oggi fa cool, quella musica basata sulle pulsazioni binaurali che inducono a un viaggio tra diversi stati della coscienza. Quindi un quartetto a disposizione di miss Gray, Russell Malone alla chitarra (Jimmy Smith e Diana Krall tra le sue collaborazioni), Wallace Roney alla tromba (Cark Terry, Dizzy Gillespie e Miles Davis bastano?), Daryl Johns al basso e Ari Hoenig alla batteria.
A volare sopra ogni cucitura musicale, ogni abbellimento del colore tonico la voce di questa cantante che non teme confronti, salvo le bizze e le insicurezze della sua padrona. Registrato dal vivo e senza over dub in un paio di giorni in una chiesa sconsacrata di Brooklyn, Stripped è un tonico per il nostro cuore. Tra spazzole sui piatti e fingerpicking più dolce di un babà, riascoltiamo le sue (anche in sede di composizione) I Try, She Ain’t Right For You, The First Time, Slowly, e Sweet Baby, apprezziamo due cover che nulla hanno a che fare (apparentemente) col jazz, Nothing Else Matters dei Metallica e quella Redemption Song di Bob Marley ultra-abusata in tutto il pianeta e qui proposta con un lirismo sorprendente in uno slow tempo gonfio di fascinazione e godiamo di tre canzoni inedite tra cui spicca l’opening title Annabelle, che da sola basterebbe a infiammare animi e anime in un Blue Note a caso, senza togliere pathos a The Heart e Lucy, a cui è demandato il compito di chiudere l’album.
Il talento c’è tutto. La sofferenza umana, quella che secondo i francesi genera il genio, pure. La grazia sensuale si è iscritta, il coraggio è tornato. Insomma, la sfida è vinta sotto ogni punto di vista. Difficile togliere il disco una volta partito. Dare continuità è la montagna più difficile.
Corrado Ori Tanzi
https://8thofmay.wordpress.com