Macy Gray Ruby
2018 - Artistry Music
Con quella voce che si ritrova, Macy Gray può dire e cantare quello che vuole. Ed è quello che fa, in effetti.
Il successo mondiale dell'album d'esordio del 1999, On How Life Is, che trascinato dal mega-hit I Try è arrivato a vendere sette milioni di dischi in tutto il mondo, non si è ripetuto con gli otto lavori successivi, che sono comunque stati distribuiti nel numero di diciotto milioni di copie. Stiamo dunque parlando di un'artista che é riuscita a crearsi un suo pubblico ampio e fedele, che lei ripaga con incisioni sempre impeccabili dal punto di vista della confezione sonora. Brani - non sempre indimenticabili - ottimamente arrangiati, suonati da eccellenti professionisti che accompagnano da par loro la vera protagonista del progetto: l'inconfondibile voce dell'artista nata Natalie Renee McIntyre nel 1969 a Canton, Ohio.
Tutto a posto, allora? Nell'ottica commerciale delle case discografiche per le quali ha lavorato, senz'altro. Anche dal punto di vista di Macy, immaginiamo, visto che ha saputo farsi largo nella giungla di esordienti spesso assai talentuosi che negli Stati Uniti sgomitano per emergere, trovando una sua collocazione che le permette di vivere di musica. La prospettiva del fruitore di prodotti discografici e di concerti, tuttavia, non coincide necessariamente con quella del musicista professionista e del suo entourage. L'ascoltatore-spettatore, se riconosce le doti dell'artista, vorrebbe questi alzasse l'asticella, si mettesse in gioco, assecondasse il dono fattogli dal Signore. Tutti i dischi pubblicati da Macy Gray rischiano invece di causare rabbia e frustrazione all'appassionato di jazz, soul e rhythm and blues, che - ogni volta - spera sia quella buona. La volta cioè che il rubino (Ruby) del talento purissimo di Macy incanti e streghi, così come aveva incantato e stregato il recente, splendido Stripped (2016), opera dallo spirito fieramente jazz e priva degli stucchevoli orpelli che hanno al contrario appesantito una produzione spesso diseguale. Macy Gray è un'interprete straordinaria, in grado di ricantare nel 2012 l'intero Talking Book di Stevie Wonder senza risultare ridondante; o di dare una nuova veste a classici moderni di un genere non suo, il rock, come quando in Covered, sempre nel 2012, mise in fila Creep dei Radiohead, Nothing Else Matters dei Metallica - un must ai suoi concerti - e Wake Up degli Arcade Fire.
A quale categoria appartiene dunque l'ultimo Ruby (2018), a quella dei dischi riusciti - come il fresco esordio rhythm and blues di On How Life Is, gli ottimi album di cover, la magia jazz di Stripped - o alla serie degli album non memorabili che vanno da The Id (2001) a The Way (2014)? Ruby è un album che contiene alcune belle love songs (Over You, When It Ends), un paio di potenziali hit (l'accattivante Cold World, l'irritante Sugar Daddy) e qualche canzoncina inutile (Jealousy, Just Like Jenny, Shinanigins). L'opera include pure dei pezzi i cui testi trattano temi scabrosi: nel gospel White Man si inorridisce al cospetto del razzismo di ritorno favorito da un presidente controverso come Trump (tema peraltro visibile in filigrana anche in Just Like Jenny - "Well it don't matter if you're black or white / And really what difference does it make?"), mentre la struggente ballata But He Loves Me racconta lo strazio di chi - vittima di violenza domestica - non sappia ribellarsi al proprio aguzzino ("Sometimes I break down and cry in the night / But he loves me, he loves me").
Le cose migliori dal punto di vista musicale si ascoltano nel cullante pezzo soul che apre il disco – Buddha -, nobilitato da un icastico assolo di chitarra della stella del blues Guy Clarke Jr., nell’orchestrazione à la Cole Porter del New Orleans Jazz Tell Me e nella rinfrescante Witness, dalla deliziosa ritmica reggae. Il disco, le cui canzoni sono state scritte dalla stessa Gray coadiuvata da un team di ventiquattro professionisti, è pieno di coloriture e propone una scaletta che sicuramente verrà apprezzata da quegli adulti che alla musica chiedono intrattenimento di classe e confezioni lussuose, preferibilmente da valorizzare in impianti per audiofili. Chi insomma aveva acquistato Big (2007) o The Sellout (2010) comprerà anche Ruby, ne rimarrà soddisfatto e noterà un’ulteriore maturazione dello stile canoro di Macy Gray, incastonato in una ricchezza di suoni senza precedenti. Chi invece sperava che la strada imboccata da Stripped proseguisse su un percorso sonoro che la portasse ad affiancare grandissime jazz singers quali Betty Carter e Nina Simone o una raffinata soul woman come Erykah Badu, beh, questi proverà ancora una volta più motivi di rabbia e frustrazione che attimi di estasi e rapimento.