Fastidiose come solo certe verità possono essere, le 15 tracce del disco si muovono nell’ipertestualità del reale antropologico, ammassando molti cliché esistenziali in un unico serbatoio di sozzure, fallimenti e neodivinità da social network.
Cantati stirati, tesi al limite dello sfinimento vocale di Carlo Martinelli descrivono con la violenza di uno sputo in faccia le fissazioni illusorie del popolo, sia esso quello del web, della tv, dell’industrietta musicale o della politica imbastardita dal salottismo da puttaniere.
Un trattato sociologico o un manuale dei giovani e dei vecchi disadattati, cresciuti a suon di ricette per un successo personale mai conquistato?
E sì che i Luminal fanno una lista accurata del prototipo dell’italiano medio, senza risparmiarsi nella definizione dei suoi aspetti comportamentali più evidenti, così come delle sue derive modaiole solo formali e scarse di sostanza.
Ma tutto questo a che pro? Per saperne ancora del tipo Lele Mora in salsa rock band o della ballerina del talent show o del piccolo musicista che, a mo’ del piccolo chimico di un tempo, vive le sue ambizioni in ambiente di divertissement e basta? O per saperne ancora delle donnette du du du di oggi, non più Donne, o di uno stupro in campagna recitato come un nuovo mantra della banalità immorale?
Insomma, un pamphlet dell’evidenza solo sciorinata, cui non fa da contrappeso però una visione alternativa a questo status quo dichiarato, quasi a dire “in questo schifo stiamo e in questo schifo creperemo”.
Suonato in maniera più che abile, sebbene il modello resti l’arte declamatoria del punk alla CCCP, Amatoriale Italia è un disco forte e forzato allo stesso tempo, che soprattutto forza chi lo ascolta ad arrivare alla fine.
Una fine salutata come sollievo, al termine di un album che ha certamente valore in quanto affresco spregiudicato dell’Italietta odierna, ma noioso forse proprio perché solo affresco di un’Italia noiosa e senza più molto da dire.