Les Anarchistes La musica nelle strade!
2005 - Storie di Note
Ha senso sì, perché il disco in questione non è un prodotto di passaggio. Quello dei Les Anarchistes è un progetto coraggioso: riportare la musica folk nelle strade, tornando ad aprirla a quanto passa e succede oggi nel mondo. La loro peculiarità sta nell’evitare quell’approccio purista/militante ancora diffuso in un formato più o meno combat e nello sporcarsi invece le mani con il moderno, contaminandosi per davvero.
Ancora più che nel precedente “Figli di origine oscura”, keyboards, programming e grooves sono quindi presenti in dosi abbondanti, sotto la cura di Max Guerrero, che ha la capacità di distribuire l’elettronica con una forza che rivitalizza i pezzi. Il risultato è encomiabile soprattutto perché condotto su di una struttura concettuale e musicale di spessore: impressiona la mole di lavoro svolta e resa ancora più evidente dalla partecipazione “collettiva” degli ospiti (tra gli altri Giovanna Marini, Moni Ovadia, Erri De Luca, Il Parto delle Nuvole Pesanti, Petra Magoni).
Il cd è accompagnato da un libretto che approfondisce il percorso del disco con un saggio sulla biopolitica e alcune introduzioni alle canzoni: questo permette di cogliere la filosofia dei Les Anarchistes, che non si pongono come dei semplici manipolatori, ma piuttosto come degli intellettuali che attingono dalla strada.
Il fine è quello di fornire materia nuova per un’ulteriore presa di coscienza delle oppressioni di cui si nutre la nostra realtà. In questo ognuna delle canzoni raggiunge il suo fine offrendo strati abbondanti di suoni e di idee: vanno sicuramente citati “Pishkuli” con Moni Ovadia che intona un canto paraliturgico tra il lounge e la musica da camera, “The ballad of Sacco & Vanzetti” con la voce della Magoni che si alza come fosse una Bjork che canta Joan Baez e “X-ray sun” scritta a quattro mani con Steve Conte sui campi di internamento per prigionieri afghani.
A scanso di equivoci, meglio precisare che i Les Anarchistes non operano come dei dee-jay o come dei frullatori etnici: sono un collettivo di musicisti preparati e competenti, capaci di lavorare sulla composizione ancora prima che sui suoni. Ne dà una prova inconfutabile “Muss es sein? Es muss sein!”, una rilettura di Leo Ferrè per voce recitante, coro ed orchestra, ripresa anche nel finale.
Ogni pezzo ha comunque la sua voce particolare, variata dai fiati e dall’elettronica che ne spinge il livello popolare, come dimostra anche “Apua natia” con violino e bouzouki a girare su un beat e Il Parto delle Nuvole Pesanti ad offrire la voce spiritata del Sud.
A tutto questo va aggiunto il forte valore umano del cd a cui contribuiscono anche i prigionieri del carcere di Volterra, che soprattutto nella persona di Sabino Mongelli intervengono ad alzare in coro la voce di chi è recluso.
Questo disco ha la forza viva ed attuale che un canto di libertà dovrebbe sempre avere. E ha senso continuare a parlarne.