MB: La "Bella ciao!" delle
mondine integrata coi versi in dialetto campano di Raiz sembra
suggerire che quel tipo di condizione è vivo oggi come allora.
AD: Assolutamente sì.
NT: Abbiamo un forte legame con Napoli e ci piaceva
unire il Nord e il Sud in maniera quasi casuale. In "Pietro
Gori", il nuovo disco, c'è un rap di Lucariello, sempre degli
Almanegretta
MB: Il lavoro che state svolgendo sulla memoria è estremamente
prezioso. I nomi di Pietro Gori, Gino Lucetti e Sante Jeronimo
Caserio, benché impressi a fuoco nella coscienza anarchica,
oggi sono sconosciuti ai più…
AD: Lo sono di meno rispetto a 10 anni fa, anche grazie
ai "Les Anarchistes"… spesso però siamo stati accusati di
fare i soldi con le canzoni anarchiche. Ci tengo a precisare
che ognuno di noi si fa un culo incredibile durante la giornata,
abbiamo un'età media di 42-43 anni, c'è chi vive ancora in
famiglia e un contributo per suonare non lo si è mai visto.
Giriamo in pulmino e lì ci laviamo i denti, conduciamo una
vita di un'umiltà impressionante.
PB: Nel Sud si è fatta una grossa operazione con la
pizzica e la taranta… però nel Centro e Nord Italia solo in
pochi hanno seguito un percorso musicale in grado di ricondurli
alle proprie radici. Lo stornello è il nostro blues, solo
che gli italiani non se lo filano proprio.
AD: Non siamo soli lungo questa strada, ma altri gruppi
hanno optato per la riproposizione fedele degli originali.
Secondo noi, nel 2008 non puoi presentare una canzone esattamente
come la faceva Giovanna Marini nel 1964… cambiano le orecchie,
cambiano i tempi, cambiano le sonorità. Ogni musicista deve
avere una propria personalità, noi abbiamo la nostra.
MB: La dimensione della canzone politico-sociale, è
rigorosamente acustica, spesso corale, eppure avete optato
per un tessuto sonoro elaborato che sa di jazz, dub e avanguardia.
Questo ne accresce o diminuisce la capacità di impatto?
CA: Noi speriamo che la accresca, ma nel dubbio abbiamo
sempre pronto un set acustico… poi è vero che gli arrangiamenti
sono elaborati, ma la melodia vocale rimane incontaminata.
Abbiamo vissuto l'esperienza di suonare col pubblico che cantava
insieme a noi leggendo il libretto di Pietro Gori, come all'Opera
(ride)!
AD: Abbiamo fatto tanti concerti acustici… c'è gente
che ci preferisce così, altri in versione elettrica.
NT: Ciò che cerchiamo è un suono di rinnovamento… altri
cambiano le melodie mantenendo un arrangiamento simile, ma
non apprezziamo questo tipo di cose.
MG: Per rispondere più direttamente alla tua domanda,
direi che è esattamente l'effetto che desideriamo ottenere.
Rinnoviamo continuamente le sonorità, ma non tocchiamo il
messaggio che è posto all'interno, perché è la sola cosa fondamentale.
Cantiamo di valori immutati e immutabili, per far capire che
è possibile stare insieme in un mondo migliore costruito su
basi più democratiche di quelle caratterizzanti uno stato
costituito o una democrazia politica.
PB: Dai retta ai media e penserai di aver bisogno di
tutto, ti riempirai di cazzate e scoprirai di non avere nulla.
All'uomo, in realtà, servono cose semplici, autentiche. Quanto
a noi, potremo piacere oppure no, ma è innegabile che abbiamo
un nostro stile. NT: Sì, infatti con Caterina Bueno,
che ci ha lasciati recentemente e pochi ricordano, all'inizio
abbiamo avuto un grande rapporto, almeno fino a quando ha
sentito la nostra versione di "Battan l'otto"… non è svenuta
per miracolo (ride)!
AD: Stiamo parlando di quella che, con Giovanna Marini,
è stata la più grande cantante popolare e ricercatrice degli
anni '70: tanti canti, soprattutto toscani, senza di lei sarebbero
caduti nell'oblio. Mentre la Marini si è anche dimostrata
un'ottima imprenditrice, non si può affermare lo stesso di
Caterina. Lo dico in senso buono, sia chiaro. In quale altro
modo avrebbe potuto reagire? Fu proprio lei a riscoprire e
salvare questa canzone, che pare provenga dagli scioperi delle
acciaierie di Terni dei primi del '900, ed era abituata a
sentirla per chitarra e voce… non certo orchestrata in quel
modo, con Blaine al violino elettrico e Lauro Rossi, che stasera
non c'è, al trombone (ride)! Caterina ha comunque superato
questa cosa e siamo sempre rimasti in ottimi rapporti.
MG: Il nostro desiderio iniziale era creare un insieme
di persone capaci di esprimersi col proprio linguaggio. Mauro
Avanzini e Lauro Rossi sono jazzisti, non abbiamo mai voluto
che facessero qualcosa di diverso da ciò che veniva loro spontaneo.
MA: Lauro viene dal free e suona nella "Italian Instabile
Orchestra", io e lui siamo praticamente le "schegge impazzite"
dei "Les Anarchistes" … in questo senso la nostra presenza
è un elemento importante e non riscontrabile in alcun altro
gruppo, se non forse negli Area.
MG: I "Les Anarchistes" sono l'attuazione di concetti
che vorremmo fossero applicati anche a comunità più estese
di un collettivo musicale: rispetto della diversità individuale
e libertà di espressione. Cose apparentemente slegate possono
intrecciarsi e diventare un tutt'uno, noi siamo qui a dimostrarlo.
MB:
Le vostre collaborazioni sono aperte anche ad artisti non
strettamente legati alla musica, lo dico pensando a Erri De
Luca e Moni Ovadia. Atteggiamento interessante, in un mondo
in cui le diverse forme di espressione artistica sembrano
chiuse a compartimenti stagni.
AD: Tu pensa che per il video "Muss es sein! Music!",
visionabile sia su youTube che sul nostro sito www.lesanarchistes.org,
abbiamo trascorso una settimana a Volterra. Maria Grazia Giampiccolo,
direttrice dell'istituto penitenziario, ha compreso il progetto
e grazie alla sua intelligenza abbiamo avuto il permesso di
fare un concerto natalizio all'interno della struttura. Non
solo, ci ha consentito di lavorare nel teatro del carcere
con la quarantina di detenuti che costituisce la "Compagnia
della Fortezza" e di rappresentare lo spettacolo in piazza
a Volterra. Sono attori straordinari, due anni fa si aggiudicarono
il premio come miglior compagnia teatrale europea e sono l'esempio
di come possano essere utilizzate le energie dei giovani carcerati.
NT: Quella di unire strategie culturali diverse è
una nostra fissazione. La collaborazione con Salis e Raiz,
per esempio, non è casuale. Le dimensioni del rock e del jazz
italiano sono assolutamente distinte, noi volevamo provare
a unirle. Tempo dopo, a Roma, hanno fatto un concerto insieme…
vorrà ben dire qualcosa!
MB:
C'è voluta la perestrojka perché le canzoni di Vladimir Vysotsky
fossero ufficialmente sdoganate in patria, ma ciò non ha impedito
al popolo russo di venerarlo come un eroe anche prima di quel
giorno. In "La musica nelle strade" avete incluso la sua "Il
bagno alla bianca", dedicata ai gulag siberiani. Come mai
questa scelta?
NT: Innanzitutto è una canzone meravigliosa e ben
tradotta… in più era giusto così. Il disco parla dei "campi
della modernità" nella bio-politica contemporanea, c'è sembrato
doveroso includere anche l'esempio sovietico.
MB:
Cito, dal vostro commento a "Fuochi di parole": "L'uomo non
crea più nulla. Si limita a subire. Noi viviamo nell'impero
della passività. In questo senso siamo tutti banditi. È nostro
compito riprenderci la parola". Che fine ha fatto la parola?
E in quale modo possiamo sperare di riappropriarcene?
MA: La parola dovrebbe essere rivolta nel modo giusto,
perché purtroppo si presta a mille interpretazioni. Solo la
poesia può rimettere ordine tra le parole e restituire loro
un vero senso.
Villa
Guardia, 21 settembre 2008 ©Massimo Baraldi
www.massimobaraldi.it
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