Le Strisce Pazzi e poeti
2011 - EMI
Le Strisce, dalla provincia di Napoli, un bel po’ di strada ne hanno fatta dalle prime canzoni suonate nei pub sotto il Vesuvio. Il contratto con la Emi, i concerti in giro per la penisola, la notorietà e poco più di un anno per riposarsi: subito un nuovo disco, “Pazzi e poeti”. Un album che ripercorre molto da vicino la strada del precedente lavoro: 11 pezzi pop spolverati di rock. Canzoni godibili ed estive, intervallate da ballate romantiche e orecchiabili.
L’apertura è di quelle potenti, con la canzone-manifesto Resistete, poi la melodia semplice e aggressiva di Il Silenzio e il messaggio semplice e importante di Lasciare tutto andare, fino alla ballata melensa in stile Lunapop (Alle dieci sotto da te). L’intervallo punk e arrabbiato in stile Green Day come Elefanti è ben bilanciato da Vieni a vivere a Napoli, canzone che Le Strisce hanno proposto al Festival di Sanremo – non riuscendo a prendere parte alla manifestazione: una toccante ballata che racconta una delle città più belle e tragicamente disastrate d’Italia. C’è un certo sarcasmo pungente nella rockeggiante Internet per tutti, che però sa un po’ troppo di qualunquismo. E se La ballata del sesto piano e C’è un solo modo scivolano via un po’ anonime, le canzoni che chiudono il disco – Londra e Canzone a caso – ci offrono maggiore potenza e equilibrio: la prima è un inno gioioso alla città inglese, una marcetta molto ben riuscita sia nei testi che nelle musiche, con una spruzzata di originalità nel ritornello scratchato, mentre la seconda è la ballata forse più bella del disco, tutta imperniata sulla voce emozionante di Davide Petrella; una sorta di canzone su come si scrivono le canzoni, bella e intensa, ottima in chiusura di disco.
Un disco generazionale, che prende e racchiude in forma canzone le ansie, le gioie e le paranoie dei 20-30enni. Pop-rock schietto e sincero, che non dimentica il valore dei testi. Suonato bene, con un occhio all’Inghilterra e l’altro in Italia, come già avveniva nel primo lavoro.
Una band che però convince di più quando vira verso il rock piuttosto che quando si adagia sulle ballate melodiche. Siamo un po’ indietro rispetto all’originalità esplosiva del disco d’esordio, ma non c’è dubbio che la seconda prova è sempre difficile, per qualsiasi gruppo. Un disco che delude - solo in parte, sia chiaro - le attese e conferma comunque Le Strisce come una delle voci più interessanti del pop-rock made in Italy, una band che di certo ha già uno stile proprio molto netto e riconoscibile; deve solo stare molto attenta a non tirare troppo la corda della formula collaudata, per non diventare la fotocopia sbiadita di se stessa.