Laura Fedele Free to be jazz
2011 - Music Center
Con questo Free to be jazz Laura é alla decima fatica di una serie di album che, sia pur molto diluiti nel tempo (esordì nel 1984), annoverano lavori di altissima qualità quali Pornoshow (2003 – basato su brani di Tom Waits) e Independently Blue (live del 2005 articolato su canzoni di Nina Simone), entrambi consigliati a scatola chiusa.
Già da questi primi cenni si intuisce che l’arte di Laura è basata su di un approccio “eclettico”, aperto ai vari generi in modo dialettico e personale, in cui anche le rielaborazioni di track di altri diventano quasi composizioni proprie. Estremamente sensibile alla dimensione ritmica, dotata di voce solare in grado di cavalcare i tribalismi del black così come la melodicità del pop, densa di ironia sia verso se stessa che verso il mondo, Laura opera sia da sola che con piccoli combo.
In questo lavoro sono con lei Alberto Marsico all’organo, Stefano Dall’Ora al basso, violoncello e chitarra e Gio Rossi alla batteria; il quartetto si esprime in un gustosissimo crossover tra blues, jazz, Tin Pan Alley, soul e R’&’B per arrivare al tango francese e enfatizza tutti i tratti tipici della musica di Laura, aliena da qualunque cerebralismo ma vissuta e gustata in presa diretta con le proprie radici.
Iniziamo con gli standard proposti che provengono dal miglior songbook americano; The great city di Lewis valuta lo swing con godibili sfumature soul aggiunte dall’organo di Alberto, timbro assai efficace che si ritrova in molti altri passaggi del lavoro e che arricchisce non poco la palette dei colori sonori utilizzati. Cheek to cheek di Berlin è un altro classico che viene proposto in modo quasi monello, con beat inatteso ed accordi leggermente alterati che eliminano qualunque leziosismo. Stesso discorso per My favourite things di Rodgers, dove il ¾ del valzerino originale è virato al junky con una ritmica che alterna gli accenti sulle cadenze forti e su quelle deboli. Concludiamo la rassegna con What a wonderful world di Thiele, brano eseguito da moltitudini di artisti e quindi a rischio di ripetitività. Qui il ritmo spezzettato ma soprattutto il timbro del violoncello, che opera come una seconda voce nera, riescono ad aggiungere qualcosa di nuovo.
Al Tin Pan Alley seguono poi tuffi nel blues, come l’ironico Goin to Chicago di C. Basie, e il ricorso a timbri diversi tramite la fisa, la chitarra slide e il piano elettrico in Ode to Billie Joe, che naviga più a cavallo del soul e del R’&’B. Del tutto apprezzabile per la coerenza con l’insieme ma nel contempo per le sue particolarità è il tango francese in Petite fleur, nel quale la fisa gioca un ruolo delicato ma decisivo.
Restano poi i brano autografi che forse meglio ancora sottolineano l’arte ed il carattere di Laura; ironico al punto dell’onomatopea Wherever you’ll go, scat leggero e swing con blues nella title track, ninna nanna dolce e perfino ingenua in Cover me, soul blues sardonico e moccioso ai danni del povero e malcapitato Freddy, interessantissimo quadro della nevrosi quotidiana in Valium.Tutti questi passaggi vanno accompagnati dalla lettura dei testi per essere compresi appieno (almeno a nostro modesto avviso).
Un vero e proprio caleidoscopio di umori, riferimenti, suoni e situazioni a dimostrare la vitalità di un’artista ancora troppo poco conosciuta; questo Free to be jazz, godibile e ricco di sfumature, ci pare un ottima occasione per tutti: sia per chi si presenta per la prima volta all’appuntamento sia per gli abitudinari…occhio però a non fare la fine Freddy.