Gentless3 Speak to the Bones
2012 - Viceversa Records / Audioglobe
Abbandonati o quasi, i toni gravosi ed i contrasti caravaggeschi del precedente disco I've Buried Your Shoes by the Garden, quello che resta è un album inumidito da uno strato impercettibile di positività. I viottoli poco illuminati della città iblea gemellati con le isolate strade periferiche d'oltreoceano; rispetto al passato, le ombre questa volta sono più nette e circoscritte, poiché le luci sono più abbaglianti ed invasive; Speak to the Bones fa rima quindi con apertura mentale e musicale, non a caso v'è la convivenza di strumenti acustici ed elettronici.
È impossibile non fare rimandi diretti a ciò che è stato il loro passato, non troppo differente dal presente, ma oggi l'evoluzione è tangibile anche nei contenuti: è variato l'approccio con il mondo ed i suoi oggetti, la visione odierna è meno succube e più critica.
Malgrado musicalmente qualche contrasto è stato spazzato via, il tema della contraddizione è ancora vivido, evidente nella malinconica Ellis Island (ghost song for Elliot Smith): da un lato il sogno americano di chi alle spalle non lascia nulla, perché il nulla è quel che ha; dall'altro guardare dal basso in alto la Statua della Libertà, in quarantena come gli appestati ed inermi su di un isolotto.
Speak to the Bones è la raccolta di dodici scatti color seppia, dodici racconti rubati alla memoria degli antenati, dodici motivi per cui sperare di riappropriarsi dei propri spazi, della propria cultura e delle proprie origini. Saved riassume queste impellenze, sommessa in apertura poi si riempie si percussioni e rumori. Un filo invisibile la lega direttamente all'esperienza dell'Arsenale, gli artisti si riappropriano attraverso l'occupazione dei luoghi che gli sono stati negati. Non a caso gli impavidi Gentless3 sfidando il caldo torrido della bella isola, hanno pensato bene di registrare l'album al Teatro Coppola - il Teatro dei Cittadini, tra luglio e agosto.
Tra i banchi di scuola lessi una frase: “La terra non è nostra, ma l'abbiamo presa in prestito dai nostri figli”, ed è a loro che dobbiamo guardare, impensabile è restare immobili a lasciar marcire le nostre speranze sotto strati di polvere; V for Vittoria, malgrado appaia come un pezzo concitato è una ninnananna alternativa, è l'omaggio ad una creatura da poco venuta al mondo.
Luca Andriolo (Dead Cat in a Bag) ha prestato la sua voce in Jellyfish: in un'atmosfera ambient ed elettrica le parole del Waits italiano risultano taglienti. Una certa sacralità pervade A New Spell: è una vera e propria preghiera, cantilenante e monotona, ma musicalmente perfetta e questa volta a collaborare con i Gentless3 ci pensa l'amico di sempre Cesare Basile.
È da poco stato presentato il video di Speak to My Bones, una breve ma intensa pellicola girata negli anni '40 all'interno di un istituto d'igiene mentale, immagini forti e sconcertanti come i contenuti della cupa ballad, tutto gravita intorno alla mancanza di comunicazione e all'impossibilità d'altri d'esprimersi.
Un approccio più leggero - per lo meno nei ritmi - in Letters from a New Form (Any Minute Now) brano in cui le melodie sono distese e meno cupe; My Father Moved Through Dooms of Love, invece è scarna fino all'osso, con pochi suoni per far fronte ad un testo lungo ed impegnativo, mentre la voce è l'unico strumento capace di arrivare fino allo stomaco e colpire.
Speak to the Bones è un album meno essenziale del precedente, ma non per questo meno incisivo; esso corrisponde alla crescita artistica della band siciliana, che malgrado la nuova formazione è riuscita a partorire un eccellente lavoro: la benedizione artistica di Joe Lally dei Fugazi ha senza dubbio portato bene.