Francesco Bianconi Forever
2020 - Ponderosa Music Records/BMG
Ma andando a fondo (non è certo un disco che si riesce ad intuire in un solo ascolto) c’è tanto altro. Su questa ossatura più spoglia rispetto ai lavori con la band (“Un buon modo per partire mi è sembrato, in quest’ottica di spoliazione e di austerità, spogliarmi un po’ anche di me stesso, mettendomi in discussione come musicista”) si innesta ad esempio il nichilismo e il misticismo della grande letteratura russa (Fëdor Dostoevskij su tutti) nell’iniziale Il bene e nell’incantevole L’abisso. Un flusso di coscienza e suoni senza alcuna forma di autoindulgenza, che prende inizio da un evento traumatico: “Durante la lezione di ginnastica/Un mattino/Il cuore di Giovanni si fermò/Morì mentre noialtri fumavamo nel cortile/Lasciò la terra come un dio del rock”. Quasi torna alla memoria anche il piccolo e fragile Nemecsek de I ragazzi della via Pal. A creare quest’atmosfera senza tempo altre al già citato piano contribuiscono anche strumenti che sembrano sempre venire da una dimensione indefinita, come il Mellotron di Mirco Mariani e il Moog Minimoog di Ivan Antonio Rossi. A fare da collante gli archi del superbo The Balanescu Quartet.
Molto interessanti sono anche le collaborazioni a livello vocale, fortemente desiderate da Bianconi. Rufus Wainwright in Andante contribuisce a creare un impasto sinuoso che scivola sul sax di Gabrielli nel finale. Kazu Makino (Blonde Redhead) aggiunge un senso di urgenza e inquietudine a Go! Hindi Zahra con una voce penetrante e calda come cera monopolizza la toccante richiesta di riavere indietro le proprie lacrime di amore in Fàika Llìl Wnhàr. Eleanor Friedberger in The strenght contribuisce a narrare quella che alla fin fine è l’essere supereroi nel quotidiano.
Zuma Beach e Assassinio dilettante rendono poetici scenari distopici mentre Certi uomini evidenzia ogni contraddizione degli animi umani, senza aver timore di inquadrare anche il mondo discografico.
Dopo tante parole dense, la chiusura però è affidata a Forever, totalmente strumentale. Come se il processo di scarnificazione, dopo aver rimosso ogni sovrastruttura, per completarsi dovesse rimuovere anche le parole. Come se le parole essenziali fossero invisibili, e solo le note possano fare da vettore.