Diego Rivera Gran Riserva
2020 - luovo - Artist First
Ne è un esempio perfetto A dismisura, dove la voce di Carmine si intreccia con quella di Chiara Turco. “Quella torre che è rimasta in piedi/da sola nel castello /mi ricorda come tutto crolla/con lo scorrere del tempo” fa pensare a paesaggi salentini accarezzati dal vento, ma ecco un incedere tra pizzica e film di Sergio Leone. Ed ecco poi la descrizione lussureggiante e decadente della bellezza dell’amata: “Sei la cosa che odio più del mondo/sei l’amore in un bordello/e la tua bellezza più insolente/è la lama di un coltello”.
Nei singoli Malvasia nera e Santa Maria al Bagno fa capolino nei cori anche la voce della sorella Isabella (già voce ne La Municipàl). Sono i brani più legati a luoghi del territorio natio. Se il primo però canta l’assenza (“mi manchi, come mi manca il vino/quando si rompe il bicchiere/e non mi sei più vicino”) il secondo canta la bellezza dell’amata (“Sei bella come Santa Maria/quando arriva ottobre ed i turisti vanno via”) con cui si divide il vivere certi spazi ora incontaminati ora pieni di gente.
Rockeggiante come una Corazon Espinado è Il negozio di scarpe, che però racconta la triste storia di una bellezza intrappolata nella miseria. Calendule è solenne come un salmo e quasi ermetica nel suo descrivere paesaggi rurali.
Gran riserva per certi versi mette un filtro seppia a foto a colori di colori, dando un tocco antico con una patina di nostalgia, quella che Cesare Brandi definiva “pelle del dipinto” grazie al passare del tempo. E poi ci sono brani come Nei peggiori bar della provincia dove però di idilliaco c’è poco, e nonostante le atmosfere retrò l’inquietudine è maledettamente attuale: “noi re magi portiamo i doni al nostro Gesù/il nostro Cristo ha la faccia da delinquente/ha almeno cinque anni di galera sulle spalle”.
Diego Rivera affresca le pareti della nostra memoria e del nostro presente, e assieme ai toni ambrati e suadenti delle trame sonore c’è sempre la scheggia colorata impazzita nelle parole.