Delbert Mcclinton Prick of the Litter
2017 - Hot Shot Records / IRD
#Delbert Mcclinton#Jazz Blues Black#Blues #Delbert McClinton
La band che lo segue, the Self-Made Men, a detta sua la migliore con cui abbia mai suonato, è composta dal pianista Kevin McKendree (co-produttore con Mc Clinton e Britt), il chitarrista Bob Britt (coautore di gran parte dei pezzi), il bassista Michael Joyce, il trombettista Quentin Ware e il batterista Jack Bruno. La parte femminile è rappresentata dalle coriste Wendi Moten e Vicki Hampton, mentre gli ospiti rispondono ai nomi di Glen Clark, Al Perkins, Jimmy Vaughan, e la cantante blues Lou Ann Barton.
Il Delbert McClinton di Prick of the Litter (uscito per la Hot Shot Records e suo venticinquesimo album di studio) gioca ancora con il suo personale repertorio fatto di blues, soul bianco, rock and roll e country ma stavolta con un’anima jazz in più, un nuovo feeling che risulterà vincente; infatti l’ascolto offre fin dall’inizio momenti interessanti legati a contesti promiscui e un climax generale permeato di fine eleganza e buon gusto.
Durante l’ascolto basta arrivare al pezzo numero due, Doin’What You Do, per rimanere colpiti già a fondo; puro r&b di ottimo livello, scorrevole e contagioso, forse il più radiofonico del disco, con le coriste di supporto e l’armonica a incorniciare un ritornello che rimane impresso. La successiva Middle of Nowhere è invece la sorpresa che non ti aspetti, un falsetto incantevole sorretto da una deliziosa melodia che sembra uscito direttamente da un disco dei Miracles di Smokey Robinson, uno di quei pezzi blue eyed soul dall’animo dolce e gentile che ti scaldano il cuore. I brani top proseguono con la bella San Miguel, magnificamente jazzata , un pezzo da night club che profuma di romanticismo, suonato con gusto e raffinatezza, una specie di aperitivo sonoro per una calda notte stellata.
Altra gemma il singolo Like Lovin’Used to Be, un mix intrigante di country, blues e jazz dove il canto di Delbert McClinton è sempre assolutamente “integrato”, con coretti doo-wop che si alternano tra fiati e fraseggi dal retro gusto metà anni cinquanta.
Ma il pezzo da novanta arriva alla fine; Rosy, già eseguita dal vivo nei due anni precedenti, ha il passo del classico: Kevin McKendree al piano jazza alla grandissima , Delbert trova parole di vita vissuta e un modo sensibile per esprimerle (“a volte la vita diventa così assurda, il trucco è imparare a gestire la curva, tenere la rotta senza farsi saltare i nervi, poi tutto potrà essere più sereno”), il ritmo country incalza una melodia di matrice blues che piacerebbe al Randy Newman di Yellow Man (12 Songs), la tromba finale conclude in perfezione.
Degne di menzione anche il ritmato blues iniziale Don’t Do It (con la Barton), il funk alcolico di Neva, l’energica Skip Chaser , l’r&b The Hunt Is On e il blues jazzato di Bad Haircut.
Se si conoscono i rispettabilissimi standard di Delbert McClinton, ascoltando Prick of the Litter si ha la sensazione di avere davanti uno dei suoi lavori più squisiti, un musicista in armonia con se stesso che nei suoi episodi migliori ci regala un passionale mix di blues, soul e jazz , vibrante per la semplicità dei colori usati, sempre dipinti con la sua distintiva gentile naturalezza. Ascoltate questo disco quando avete voglia di riscaldare il vostro cuore, “soon enough those tears will fade, Everything will be rosy”. (Ben presto quelle lacrime spariranno e ogni cosa potrà essere più lieta).