![Atlantic<small></small>](/foto/musica/recensioni/big/3298-ben-glover-atlantic-20141126183656.jpg)
Ben Glover Atlantic
2014 - Proper Music / IRD
Il songwriter, chitarrista e cantante, cresciuto nel villaggio di Glenarm, nell'estremo nord dell'Irlanda, iniziava da giovanissimo, alla tenera età di tredici anni, ad esibirsi suonando e cantando Johnny Cash e Hank Williams nei pub irlandesi. In estate si spostava poi oltreoceano, eseguendo nei bar di Boston composizioni tradizionali irlandesi e brani di Christie Moore e dei Pogues, per poi rientrare in patria proponendo il repertorio di Dylan e Springsteen. A Nashville aprirà più tardi i concerti di Vince Gill, Buddy Miller e Tift Merritt.
America e Irlanda, dunque, sono da considerarsi un doppio centro gravitazionale intorno al quale Ben Glover ha da sempre orbitato, in un'ellissi di storia e tradizione, di blues e soul, country e folk, canzone d'autore e poesia.
Una sintesi tutt'altro che semplice, ma che si manifesta in maniera spontanea ed incredibilmente naturale in Atlantic, quinto lavoro discografico del cantautore.
L'idea di Atlantic nasce (guarda caso) sul delta del Mississippi, più esattamente durante una visita alla tomba dell'immenso Robert Johnson; viene scritto negli USA, ma registrato in Irlanda, nella casa dove Glover è cresciuto, affacciata (guarda caso) sulle rive dell'Atlantico.
Non c'è però traccia di correnti oceaniche né di vortici marini nell'oceano di cui Glover ci narra. Pacatamente deciso, forte di una maturità che con quest'ultima prova può considerarsi pienamente raggiunta, Glover apre il disco con This World Is A Dangerous Place, ballata acustica dai colori tenui e ben diluiti. Non c'è alcuna necessità di alzare la voce, neanche nel caso di un inno gospel che, mitigata quella forza cieca e trascinante che ha da sempre contraddistinto il genere, diventa preghiera, intima confessione di un animo nobile. Stiamo parlando di Oh, Soul, meraviglioso brano scritto a quattro mani da Glover e Mary Gauthier, che fa bella mostra anche in Trouble & Love (2014), ultimo meraviglioso album della cantautrice di New Orleans. La medesima doppia firma è riportata sui propulsori di Too Long Gone e di Take And Pay, tra i pochissimi scossoni del disco.
Con lo scorrere dei minuti la tensione emozionale non accenna comunque a diminuire: tutti e undici i brani risultano perfettamente cuciti sulla voce limpida e pulita di Glover, che ci canta cuore a cuore di inferno e redenzione, speranza ed amore, fallimenti e traguardi.
Le sue corde, però, lasciano il segno più profondo nelle ballate intime e sommesse, cantate a labbra quasi serrate e intrise di una malinconia che, sublimata, si fa poesia. Basti pensare a Blackbirds, scritta e registrata con Gretchen Peterson, e al modo in cui questa scava pazientemente come goccia su pietra raggiungendo profondità recondite ed inesplorate. Allo stesso livello - se non superiore – la successiva The Mississippi Turns Blue, ballata acustica farcita di pedal steel e glassata di un “blue mood” a cui difficilmente si puo' restare indifferenti.
New Years Day chiude il disco con la stessa quiete con cui era iniziato, unendo definitivamente due sponde lontanissime che, con Glover a fare da ponte, riescono finalmente a toccarsi.
Persino i più irriducibili portatori sani di pessismo cosmico, una volta ascoltato questo album, inizieranno a sostenere che l'oceano unisce. Eccome se unisce.