Oppure così: “Pula fascista, vienimi addosso”/ una rabbia ed una forza sconosciute/ Primo d'agosto, Mestre, sessantotto/ cinquemila di noi alla stazione/ trecento celerini lì davanti/ pronti come sempre a sparare/ per difendere il mio padrone” (Primo d’agosto, Mestre sessantotto (Gualtiero Bertelli). La verità di Bob Dylan soffiava nel vento e la canzone politica faceva la sua nelle strade, nelle piazze, nelle scuole occupate. Più che nei dischi correva di bocca in bocca. Correva live, come si direbbe oggi che il Sessantotto è finito senza nemmeno il conforto di una parvenza di ostalgia. A cinquant’anni tondi dalla sua nascita stradaiola, controtendente al trand della produzione furbesca, Ala Bianca ne riesuma la memoria, rispolverando un bel doppio cd di dieci anni fa.
Il "doppio" foggia una copertina di Vauro tendente all'agrodolce: eskimo chissà se pre o modaiolo totu court e must con sciarpa rossa a sormontare la scritta recante l'interrogativo incriminato: E’ finito il Sessantotto?. Non mi faccio illusioni e ripeto: il Sessantotto è finito – i più voilenterosi fra i contemporanei alla fine del mondo potrebbero semmai mandarlo a memoria –: questo cd ne rappresenta però la colonna sonora ideale. Qualcuna delle 30 canzoni in scaletta (più le inedite e disilluse bonus track di Giovanna Marini (Dal ’68 al Blog) e di Paolo Pietrangeli (Tornerà a soffiare il vento) ve la racconto parafrasando quanto scrive Stefano Arrighetti (con Ivan Della Mea firmatario del book let) perché non saprei scrivere di meglio.
Transitando in ordine sparso tra tracce e temi dei cd, ci sono, per esempio, date e luoghi delle prove tecniche di rivoluzione. Ci sono le hit dei cortei (Contessa, O cara moglie, La rossa provvidenza). Ci sono gli studenti che si (ri)prendono strade, piazze e sogni, con tutto lo slancio, il coraggio, la forza dei loro vent’anni rivendicativi (Valle Giulia, La caccia alle streghe, Vi parlo di Milano). Ci sono gli operai pre- autunno caldo che si esercitano sulla coscienza di classe (Uguaglianza, Ballata dell’emigrazione, Ballata della FIAT, I treni per Reggio Calabria). C’è il Vietnam e c’è Cuba, come dire resistenza e rivoluzione di fatto. Ci sono ancora (da qui in avanti l'intero copyright delle citazioni è tutto mio) sottofondi di chitarre nude e crude, suoni sporchini, voci oltretombali - la tecnologia era all'epoca quella che era ma chissenefrega, la canzone politica cantava col cuore -, i suoni della piazza che protesta, libere associazioni di bandiere rosse, studenti & operai, falci e martello, e chi c'era (e faceva) e chi non c'era (ma avrebbe voluto esserci) più ne metta. Rimane il fatto che così cantavano, così vivevano-lottavano-sognavano, quelli che erano giovani mezzo secolo fa. Prima che il grande nulla ammantasse di afasia parole e musica, dentro e fuori le canzoni. A parte la vena malinconica annessa e connessa, E’ finito il Sessantotto si staglia come luminoso reperto di caratura filologica.