Tom Harrell The Time Of The Sun
2011 - HighNote Records / IRD
Tom Harrell iniziò la sua carriera in California come sideman di artisti quali Stan Kenton, Woody Herman, e Horace Silver. Trasferitosi a New York a metà degli anni ’70 lavorò con Bill Evans, Lee Koonitz, George Rusell e Phil Woods, dando il via anche ad una produzione solista a partire dall’inizio degli anni ’80.
La caratteristica principale della sua arte sta in una fusione tra elementi bop e lirismo alla Chet Baker con una sensibilità al sound di gruppo ed al fatto compositivo probabilmente favorita dalle sue esperienze in orchestre. Il suono è dolce e pastoso, essenziale nella sostanza ma non scontato nelle linee melodiche che Tom sviluppa su basi armoniche particolari, rimuovendo all’origine schemi di già sentito.
Un buon ritratto di questi elementi è rintracciabile in Estuary, perfetto connubio di delicatezza ritmica e dinamica con melodie vagamente latineggianti ma basate su armonie di chiaro stampo jazzistico. In quanto uomo del XXI secolo Tom risente di influssi molteplici, più o meno consapevoli ma con chiari echi anche dal mondo della fusion; Ridin’ ha una base ritmica funky che richiama l’eredità del Miles Davis elettrico, meno acido e con qualche elemento bop in più dettato dal sax di Wayne Escoffery e dalla sezione ritmica con cui forma un combo in felice sodalizio da tempo. Modern Life richiama invece i periodi di Silver, sempre integrati con un lirismo che crea un effetto di dipolo o, meglio, di delicato contrasto e sovrapposizione.
Infatti un altro elemento ricorrente nella musica di Harrell appare essere la capacità di composizione su piani diversi, con groove che sostengono linee soliste parallele e apparentemente autonome; la title track risulta molto interessante da questo punto di vista, con un pedale elettronico su cui la voce della tromba recita come se Baker si incontrasse con la kraut music anni ’70. L’intelligenza, la coerenza e il senso dell’equilibrio che Harrell esprime in queste dialettiche rappresentano uno dei tratti salienti della sua estetica, che riesce ad affascinare proprio per la ricchezza degli elementi senza sovraccaricare l’ascoltatore.
Un ultimo elemento che desideriamo segnalare è la raffinatezza, unita alla alla precisione, della sezione ritmica; i richiami latini di River Samba, gli ostinati di Cactus e l’apprezzabile intervento del basso in The Open Door completano un quadro di un lavoro estremamente interessante per la sapienza compositiva del leader e per il valore aggiunto del collettivo.
Consigliato sia ai difensori della tradizione che agli innovatori.