Roberto Minervini I Dannati
2024 » RECENSIONE | Guerra | Drammatico | Anti War
Con Jeremiah Knupp, Cuyler Ballenger, René W. Solomon, Noah Carlson
25/05/2024 di Paolo Ronchetti
Il nuovo film di Roberto Minervini, I Dannati, appena presentato a Un Certain Regard a Cannes 77 (e in cui ha vinto il premio come Miglior Regia), si presenta come qualcosa che si avvicina all'estremo, come il cinema di Herzog, Bela Tar, Sokurov, Olmi, Malick o come il Buzzati de Il Deserto dei Tartari. Ma lo fa senza assomigliare a nulla di tutto questo. Si avvicina all'estremo e all'infinito, togliendoci qualsiasi riferimento, quasi togliendo la terra sotto i piedi allo spettatore. Minervini ci dona un film di guerra in cui l'"altro", il nemico, è praticamente assente (e viene in mente chi dell'altro, il nemico, fece un film, come il Clint Eastwood di Lettere Da Iwo Jima). Ci offre un film di guerra in cui il conflitto bellico non è quasi mai svelato, ma in cui il dilemma umano (interiore e dialettico) è sviluppato dalle riflessioni personali dei personaggi, indagati, inseguiti e svelati nella loro intima essenza.
In una terra inospitale di nevi, freddo e montagne selvagge, un plotone di soldati volontari dell’esercito nordista, nell’inverno del 1862, nel pieno della guerra di secessione americana, vaga perlustrando e presidiando un territorio che è da subito (moralmente, filosoficamente ed eticamente) il riflesso, lo specchio, su cui riflettere, come una condizione esistenziale, sul senso della vita. E allora l’assenza dell’”altro” e la presenza di un territorio selvaggio e infinito amplificano le riflessioni, intimamente personali, sul senso della guerra, delle motivazioni più intime, sul senso della frontiera in cui, al posto dell’eroe bello e con gli occhi azzurri – dell’eroe che sparerà sino alla vittoria eroica - , ci saranno infiniti Ulisse, apparentemente minuscoli e antieroici, che si confronteranno con la morte, il senso della vita, la guerra e il proprio pensiero.
Un racconto, un viaggio, in cui la guerra e il conflitto rimangono sullo sfondo, mentre in primo piano rimangono sguardi personali semplici e potenti. In cui il plotone si assottiglierà di numero quasi in maniera misteriosa, sovente senza spiegazioni (e senza domande).
La vita “è”, e Minervini la interroga lasciando che solo la vicinanza possa svelare l’animo di quei soldati, di quelle persone così diverse per credo e motivazioni.
Primo film di finzione per Minervini e, come sempre, film di montaggio; di (ri)costruzione della sceneggiatura a posteriori, in fase di montaggio. Un procedimento così lontano da quello della industria del cinema di oggi, che non è capace di tollerare l’angoscia del non avere il controllo totale su un film. In maniera diversa Fellini non scriveva quasi nulla dei suoi film: girava con attori che recitavano a caso frasi e numeri, montava e solo successivamente metteva il testo ai suoi personaggi. Fellini oggi non avrebbe potuto mai fare un film!
E poi un lavoro sulle ottiche, quasi a obbligare a uno sguardo centrale su un soggetto che, nel momento in cui si sposta da quella posizione, diventa confuso e fuori fuoco. Come l’uomo e il suo pensiero, che più si sposta dalla propria centralità (qualunque essa sia), più si confonde e diventa “meno nitido” (ma non è detto che sia proprio questa una possibilità di ricchezza ulteriore).
Il film è forse meno immediato dei tre precedenti,, straordinari, film di Minervini (Stop The Pounding Heart -da cui recupera tre attori e, conseguentemente, alcuni temi-; Louisiana; What You Gonna Do When The World's On Fire?), ma è di una bellezza filmica e morale sconvolgente!
“Ho sempre avuto un rapporto simbiotico e dissonante con i WAR MOVIE, perché non ho mai capito le sovrastrutture morali, la rappresentazione così muscolare, la mascolinità tossica. Ci eravamo riproposti di iniziare un percorso per provare a riscrivere questi connotati”.
Andare a vedere I Dannati di Minervini vuol dire attendere senza giudizio, senza per questo non farsi una idea delle cose. (Visto in V.O.S.)
Straordinario.