Nanni Moretti Sogni d`oro
1981 » RECENSIONE | Commedia | Commedia
Con Nanni Moretti, Piera Degli Esposti, Laura Morante, Alessandro Haber, Gigio Morra, Dario Cantarelli
02/03/2023 di Roberto Codini
“Ora c’è tutto un cinema nuovo…ma tu sei stato il primo”.
“Io non sono stato il primo…io sono l’unico”.
In una scena di “Sogni d’oro” il protagonista, il regista nevrotico Michele
Apicella (interpretato da Nanni Moretti) così risponde al collega avversario ,
regista emergente, Gigio Cimino.
Nanni Moretti gira il film dopo il successo di “Ecce bombo”, che fu considerato
un film comico, tanto che Moretti fu annoverato, alla pari di Troisi, tra i “nuovi
comici”.
“Sogni d’oro” è un film sorprendente e molto diverso dal precedente, che
ottenne il Premio della Giuria a Venezia, con Presidente Italo Calvino, ma ebbe
uno scarso successo di pubblico.
“Sogni d’oro” è un film incredibile, disturbante e geniale, con tocchi di ilarità e
momenti estremamente drammatici. Ma non è un film facile ed è forse il film di
Moretti che esprime maggiormente il suo disagio, abilmente trasferito nell’alter
ego Michele Apicella senza retorica e senza sconti. Il cinema di Nanni Moretti è
un cinema divenuto a sua insaputa il simbolo di una generazione, come più
volte Moretti stesso ha dichiarato in qualche intervista.
E se “Bianca”, considerato ad oggi il suo capolavoro (con un grande successo di
pubblico) ha giocato sull’equivoco di Michele Apicella, che viene percepito (e
amato) come un buono ma in realtà è uno psicopatico assassino che uccide le
coppie che si tradiscono (come dice il Commissario che lo arresterà “entra in
casa come un amico ma non è un amico”), “Sogni d’oro” ci regala un regista
nevrotico, scorbutico e rissoso, che insulta i colleghi, scoraggia chi vuole fare
cinema e picchia la madre, fino a diventare un mostro nello strepitoso finale, e
nonostante tutto gli si vuole bene.
Nanni Moretti è il regista dell’equivoco, nessuno meglio di lui ha saputo dare
vita a personaggi asociali e disagiati ma capaci di azioni straordinariamente
umane. Il Michele Apicella di “Sogni d’oro” tratta con dolcezza le suore con le
quali pranza, che gli dicono, in riferimento al suo film: “è considerato un film
comico ma invece è molto drammatico” (il riferimento è chiaramente ad “Ecce
bombo”, anche se il film non viene mai nominato) e il paradosso è che l’unica
ad individuare la natura drammatica del film del regista ateo sia una religiosa.
Michele si scusa poi per non essere credente: “ora c’è un interesse dei giovani
per la figura del Papa…” dice per consolarle.
Lo stesso Michele poi picchia la madre davanti agli amici gridando “Io non me
ne andrò mai da questa casa, perchè non lo voglio superare il complesso di
Edipo!” in una delle scene più drammatiche del film.
Apicella ha un rapporto difficile anche con i gestori delle sale
cinematografiche: “Io il suo film non l’ho mai voluto proiettare…oggi si,
grazie, oggi è domenica, tre film mille lire…ma lei non è abbastanza
centrale…bisogna fare film per tutto il pubblico, io i film me li scelgo e la sera
ho sempre la sala piena!” Gli dice il proprietario della sala dove proiettano il
suo film (si sente la musica di “Ecce bombo”). Ma Michele gli consegna un
biglietto e gli dice: “questo è il mio biglietto da visita…tra un anno, quando lei
fallirà, mi chiami che devo dirle una cosa…”.
“Sogni d’oro” è un capolavoro, un trattato di psicanalisi sotto forma di
pellicola, e infatti il regista sta girando “La mamma di Freud”, un film che ha
per protagonista un signore che si crede Freud e vive con la madre, interpretato
da uno strepitoso Remo Remotti.
Durante una proiezione pubblica un critico che lo perseguita (ogni volta in abiti
diversi, interpretato da Dario Cantarelli) gli dice: “lei ci ha parlato dei fatti suoi,
ma questo film non è rappresentativo dei giovani!” (E qui è evidente il
riferimento a “Ecce bombo”). E Michele risponde prontamente: “infatti io non
volevo rappresentarli, a malapena rappresento me stesso!”
Ma il critico ogni volta declama il suo tormentone: “ma di questo film cosa
importa ad un bracciante lucano, ad un pastore abruzzese e ad una casalinga di
Treviso?”. Apicella compie la nemesi nel finale: alla fine del dibattito i tre soggetti citati
dal critico entrano in sala e salutano il critico, venendo immortalati dai
fotografi. Apicella/Moretti non vuole affrontare i critici e Tatti Sanguineti, il suo
assistente (che lui maltratta) gli dice: “digli che è il tuo film più bello!” E
Apicella stringerà la mano ai critici in fila per la prima esclamando: “è il mio
film più bello!”
Nanni Moretti è il regista del disagio, che impersona quella minoranza di cui
parlerà nel bellissimo “Caro diario”, quando fermerà un automobilista per dirgli
che “anche in una società più decente di questa mi troverò sempre a mio agio e
d’accordo con una minoranza”, per poi assistere da spettatore ad uno spettacolo
di ballo (da sempre il suo sogno, da quando vide “Flashdance” con Jennifer
Beals, che farà un divertente cameo nel film).
Il disagio di Michele Apicella si manifesta nei suoi primi film, a partire da
“Ecce bombo”, in cui non vuole partecipare alle feste (“Mi si nota di più se
vengo e mi metto in disparte o se non vengo per niente?”) e si rivela incapace di
un vero rapporto con una donna (“Come sono fatto male, come sono fatto
male!” Dirà ad una ragazza in pieno agosto su una panchina di Piazza dei
Quiriti). Lo stesso disagio esprimerà il protagonista de “La messa è finita”,
questa volta nei panni di un sacerdote che non è più Michele ma Don Giulio,
che non può fare niente per il padre che ama una donna più giovane, per la sorella che vuole abortire e per la comunità di fedeli che abbandonerà per
trasferirsi in Sudamerica.
“Sogni d’oro” è un film sul cinema, sulla solitudine, sulla difficoltà dei rapporti
umani e sull’ossessione per una donna, Silvia, protagonista dei suoi “sogni
d’oro” che sono in realtà incubi, nei quali lui è un professore che odia i suoi
alunni ma si innamora di una sua alunna che lo disprezza, la pedina, la segue,
fino a quando, venuto a sapere che lei è andata a vivere da sola, si trasforma in
un mostro (“siii! Sono un mostro! E ti amooo!”) scappando nel bosco e urlando
“non voglio morire!”
“Sogni d’oro” è il film che meglio di tutti esprime il disagio ma anche la
solitudine del regista, la profonda asocialità dell’uomo incapace di amare e di
intrattenere rapporti umani, dando sfogo alla sua rabbia e preferendo la
solitudine alla moltitudine. Nel film manca del tutto la dimensione dell’allegria,
della spensieratezza e della tolleranza. Sarà solo con “Caro diario” che Nanni
Moretti (stavolta lui in persona) diventerà spettatore e la sua rabbia lascerà il
posto all’ascolto e alla rassegnazione, come quando giocherà a pallone da solo
in un campo deserto o quando ascolterà pazientemente Lucio (interpretato da
Moni Ovadia), che si è ritirato nell’isola di Alicudi dopo aver scritto un libro di
successo, “troppo successo”.
Fino ad arrivare al 2021, in concorso a Cannes con “Tre piani”, quando girerà
un video pubblicato sul suo account Instagram (Moretti su un social! Chi lo
avrebbe mai detto?), mentre arriva all’aeroporto e cammina sulle note de
“L’allegria” di Jovanotti e Morandi.
Nanni Moretti, dopo aver attraversato varie fasi della vita (e una brutta malattia)
e del cinema (“La stanza del figlio”, “Il caimano”, “Mia madre”, “Habemus
Papam”) può finalmente rilassarsi, cantando una canzone di Sanremo e
sorridendo nonostante tutto, perché in fondo, come diceva Woody Allen “essere
felici è essere vivi”.
Anche per questo il suo cinema resta, a distanza di anni, un cinema unico ed
insostituibile, come lui. E per questo, nonostante tutto, continuiamo ad amarlo.