Che dire del film che ha appena conquistato tre dei quattro oscar più importanti (miglior film, regia e sceneggiatura) e un meritatissimo migliore attore non protagonista? Che dire dei due fratelli più famosi della storia del cinema dopo quelli Lumière? Innanzitutto diciamo che i premi ai fratelli Coen sono atipici perché “Non è un paese per vecchi” è un film di genere, e in quanto tale era stato ignorato a Cannes mesi fa. Quello che non si era capito allora, è che questo è uno dei migliori film di genere della storia del cinema. Evidentemente all’Academy hanno cambiato rotta, visto che anche il premio a Scorsese dell’anno scorso presentava le stesse caratteristiche. L’ultima fatica di Joel e Ethan Coen, è un thriller che fagocita i canoni classici del genere, li rimescola, li amplifica, li migliora e li integra con la loro capacità di saltare da un tipo di film all’altro, dalla commedia, al grottesco, al drammatico. Volendo, questa storia è un po’ un ritorno al passato, a pellicole come “Blood Simple” e “Crocevia della Morte”, quando il tema era sempre e solo l’omicidio e le sue conseguenze, in parte riprese nei bellissimi “Fargo” e “l’Uomo che non c’era”. Questa volta il lavoro è stato fatto, per la prima volta, su un libro, di Cormac McCarthy e la trasposizione, evidentemente, è riuscita particolarmente bene. La storia è quella di Llewelyn Moss, che trovando una grossa somma di denaro rimasta incustodita da un gruppo di trafficanti di droga, se ne impossessa, innescando così uno degli inseguimenti più mozzafiato mai visti sul grande schermo; un inseguimento che dura praticamente tutta la pellicola, e che è condotto dall’incarnazione stessa del male, Anton Chigurh, killer più che spietato, coerente, deciso e implacabile nel portare a conclusione la sua missione. Questo ruolo incredibile è stato affidato al neo-premiato Javier Bardem, che risponde con un’interpretazione memorabile, a coronamento di una carriera straordinaria nonostante la giovane età, e di cui basta ricordare due film: “Carne Tremula” e “Mare dentro”. Dalla parte dell’inseguito un più che convincente e ritrovato Josh Brolin e nel ruolo chiave dello sceriffo un Tommy Lee Jones sempre più invecchiato. Qua forse, a detta di alcuni, alberga l’unica pecca del film: la figura riflessiva, rivolta costantemente al passato con un tono malinconico – da qua il titolo – è messa un po’ da parte, limitandone gli spunti filosofici che nel libro avevano molto più spazio. Rimane comunque una figura cardine anche se a tratti sembra esulare troppo dal contesto della storia. Storia spietata che nulla lascia all’happy ending, e che fa morire tutti o quasi, meno le due persone a cui, forse, non importava affatto morire; questo è il ruolo beffardo del fato, più volte analizzato nelle opere precedenti dei Coen. Che altro dire, è un film violento di una violenza inaudita, crudo di una crudezza sconcertante e pessimista di un pessimismo cosmico. Rimane la voglia di rivederlo, di farsi emozionare ancora, di godere gli splendidi paesaggi texani, di rivedere l’opera non-comica dei fratelli Coen, forse la migliore, e che suggella una carriera eclettica ma che presenta un comune denominatore: il grande talento.